danza

Roberto Bolle nell’incalzante Bolero

Ancora al Teatro alla Scala il 21, 22 e 27 novembre

di Roberto Giambrone

3' di lettura

Il trittico Balanchine / Kylián / Béjart, in scena fino al 30 novembre al Teatro alla Scala, sarà ricordato soprattutto per i 15 incalzanti minuti del Bolero di Maurice Ravel affidati alla vigorosa bellezza (sfolgorante per molti, un po' algida per taluni) di Roberto Bolle.

Questo manifesto della sensualità, che Maurice Bejart disegnò una prima volta nel 1961 per la danzatrice serba Duška Sifnios, è una di quelle icone pop della danza moderna scolpite nell'immaginario collettivo almeno quanto certe immagini di Andy Warhol. La felice alchimia che Bejart è riuscito a creare a partire da una partitura musicale ossessiva e irresistibilmente attrattiva, deve molto alla dimensione rituale che il coreografo ha voluto imprimere alla performance, tutta giocata sulla sensualità dell'interprete, sul crescendo ritmico e gestuale che trascina, nel cerchio magico della rappresentazione, il coro maschile.

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Un crescendo che ha evidenti allusioni erotiche culminanti nel liberatorio climax finale.

L'altro aspetto interessante del balletto, che oggi definiremmo gender equality, è che negli anni è stato interpretato sia da straordinarie danzatrici, tra cui Carla Fracci, Luciana Savignano e Sylvie Guillem, sia da uomini con appeal e fisionomie diverse: da Jorge Donn a Patrick Dupond fino alla star del momento Roberto Bolle, che ne restituisce una versione molto glamour, nella quale l'atletismo e la prestanza fisica prevalgono su altre possibili interpretazioni.

In un certo senso Bolle traghetta il Bolero bejartiano nell'estetica 2.0, in sintonia con i gusti e le mode di un pubblico millennial e lo fa con impeccabile piglio esecutivo, guadagnandosi una valanga di applausi ed ovazioni.

Ma i 15 minuti del Bolero, che Bolle danzerà ancora solo il 21, il 22 e il 27 novembre, non devono adombrare le altre due chicche del trittico scaligero, nelle quali risaltano il grande affiatamento corale e la cura interpretativa del Corpo di Ballo. In particolare, è una vera a propria delizia per gli occhi la Symphony in C di Georges Bizet secondo George Balanchine, il cui intento era proprio quello di rendere visibile la musica attraverso la danza. Allestita originariamente per l'Opéra di Parigi nel 1947, la coreografia è entrata presto a far parte del repertorio del New York City Ballet.

Le geometrie della composizione, che gli interpreti disegnano con perizia nello spazio, sono la quintessenza dello stile concertante di Balanchine, nel quale la danza non ha bisogno di orpelli, di sottotesti o di derive patomimiche per esprimere la propria natura, indipendente da qualunque sovrastruttura. Il contenuto sta tutti lì, nell'astrazione delle forme, così limpide e cristalline, nell'intrecciarsi di linee e figurazioni; basta lasciarsi trasportare da questo irresistibile flusso di suoni e immagini.

Symphony in C è un'esemplare composizione post-romantica, che in alcune audaci figurazioni, per imprevedibili assonanze, fa pensare alle vorticose architetture di certi musical hollywoodiani.
Nella coralità del Corpo di Ballo, uniforme nel sobrio bianco e nero di tutine e tutù, spiccano i solisti Martina Arduino, Nicola Del Freo, Nicolatta Manni, Marco Agostino, Alessandra Vassallo, Claudio Coviello, Maria Celeste Losa, Mattia Semperboni.

Bizet e Ravel
A far da raccordo tra Bizet e Ravel, il trittico scaligero propone un altro gioiello del repertorio tardonovecentesco: la Petite Mort di Jiří Kylián (1991) sul dittico di concerti per pianoforte e orchestra – K488 e K467 – di Wolfgang Amadeus Mozart. Qui risaltano alcune raffinatezze interpretative, grazie alla ricercatezza stilistica e drammaturgica del coreografo praghese, per lunghi anni alla guida del Nederlands Dans Theater. La coreografia, il cui titolo allude all'orgasmo, è pervasa da un sottile erotismo chiaroscurale, nel quale piacere e morte ritrovano il loro ancestrale legame. Una schiera di uomini armeggia con fioretti dalla chiara simbologia sessuale, indossando boxer vagamente fetish, che fanno il paio con i bustini steccati delle donne, le quali appaiono dal fondo dopo che i primi hanno sollevato l'onda nera di un ampio tulle. Uomini e donne intrecciano duetti, a turno o all'unisono, riflettendo le complesse sfumature di un rapporto, ora intimista ora impetuoso ma sempre armonico e sensuale.

C'è spazio anche per un quadro sottilmente ironico, nel quale il gruppo di danzatrici avanza in scena nascosto da ampie gonne nere sorrette da rigide crinoline, un riferimento agli stereotipi della femminilità, che con leggerezza il coreografo svapora in questo incantevole richiamo all'armonia. Di grande bravura le sei coppie di interpreti, impeccabile l'esecuzione pianistica di Takahiro Yoshikawa e ragguardevole l'intensa prestazione dell'Orchestra scaligera diretta con piglio da Felix Korobov.
Su iniziativa dei lavoratori e della direzione del Teatro, il 29 novembre alle 20.00 avrà luogo una recita straordinaria, il cui ricavato sarà devoluto alla Fenice di Venezia, duramente colpita dagli allagamenti dei giorni scorsi.

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