Robot e macchinari: ci sono gli ordini ma mancano i chip. E la filiera si ferma
I problemi iniziano quando i fornitori di componentistica ampliano i tempi di consegna da venti giorni a 10-12 mesi: i macchinari pronti non possono essere consegnati
di Lello Naso
5' di lettura
«Anche con la pancia piena si può andare in crisi». Riccardo Cavanna, presidente dell’impresa di famiglia di Prato Sesia (Novara), 60 anni di storia e 80 milioni di fatturato, leader nella costruzione di macchine per il packaging a basso costo, riassume in una sola frase la situazione della meccanica strumentale, i costruttori dei sistemi che servono per produrre, gli industriali degli industriali. Un settore di punta del made in Italy che nel 2021 ha fatto registrare il record di fatturato, 50,3 miliardi di euro (+20% sul 2020), e avrebbe ancora ordini per continuare a crescere anche nel 2022. Non fosse che, per confermare il più trito dei luoghi comuni, può bastare un granello di sabbia per inceppare anche un meccanismo perfetto.
Il granello, diventato nel frattempo un macigno, è la carenza di componentistica elettronica iniziata nel 2021 e che ora le imprese faticano a a tamponare in un’escalation che le ha costrette a portare i tempi di consegna, da due a quaranta settimane per le macchine più semplici e da quattro a dodici mesi per le più grandi e sofisticate. Con una serie di problemi a cascata da gestire: l’affitto di capannoni per custodire le macchine pronte ma non consegnabili; la riprogrammazione della logistica; la gestione dei prezzi (stabiliti a un anno dalla consegna ma resi obsoleti dal boom dei costi dei componenti); il crollo dei margini; il rischio di crisi di liquidità per i mancati incassi; la gestione del bilancio e degli ammortamenti. In una parola: ripensare l’azienda.
Boom degli ordini, carenza di chip
«Tra settembre e dicembre del 2021», racconta Giambattista Pedrini, presidente della Pedrini di Carobbio degli Angeli (Bergamo), 70 milioni di euro di fatturato e 120 dipendenti, azienda attiva nella costruzione di macchine per la lavorazione di marmo e pietre, «dopo la frenata per i timori del Covid, abbiamo avuto un boom di ordini e abbiamo iniziato le procedure di produzione. C’era già la crisi di offerta di componentistica elettronica, ma contavamo di reperire il materiale durante la lavorazione».
Per comprendere come opera un’azienda della meccanica strumentale - Pedrini è un esempio tipico, presente in sessanta Paesi nel mondo, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Turchia all’Egitto, dal Brasile all'Etiopia («dove c’è una cava, noi ci siamo», semplifica il presidente) - è necessario partire dalle dimensioni delle macchine. Un sistema completo è lungo fino a 150 metri e viene ultimato in blocchi su una linea di produzione continua. Una volta terminato il lavoro, per spedire la macchina sono necessari da dieci a quindici container. Ecco perché, ricevuto un ordine, è necessario avviare subito la lavorazione. Anche se non c’è la disponibilità di tutta la componentistica necessaria. In tempi normali i pezzi arrivano work in progress.
I problemi iniziano quando i fornitori,le più grandi multinazionali del settore, da Siemens ad Abb, ampliano i tempi di consegna di consegna da venti giorni a 10-12 mesi. Succede che l’intera macchina, con valori che nel settore vanno da 500mila euro a cinque milioni di euro, è pronta ma non può essere consegnata perché manca una scheda o un inverter da 100-200 euro che non si trova. «Ci è capitato – racconta Pedrini - di dover parcheggiare la macchina pronta all’interno dello stabilimento, in corsia, per fare spazio sulla linea agli altri sistemi in lavorazione. Ma ci è capitato anche, e succede sempre più spesso, di cercare e trovare online, su eBay o Alibaba, i pezzi originali, con tanto di certificazione, che le multinazionali fanno fatica a fornirci ma a prezzi fino a venti-trenta volte più alti. Incredibile come possa succedere, anche se ci ha consentito di completare alcune macchine, ma erodendo i margini».
Il problema maggiore, però, è quando la macchina pronta non può essere consegnata. Le dimensioni non sono quelle di un soprammobile e gli spazi delle aziende non sono infiniti. «Molti nostri colleghi hanno dovuto affittare capannoni per tenerci le macchine pronte», racconta Cavanna. «Noi siamo andati molto vicini a doverlo fare e, visti gli ordini e le tempistiche attuali di consegna della componentistica, non escludo affatto che lo faremo presto. Se proprio vogliamo trovare qualcosa di buono, diciamo che questa crisi ci ha costretto a ridisegnare e razionalizzare le linee di produzione e gli spazi».
Le (poche) soluzioni alternative
La difficoltà spinge a cercare alternative, ma non tutte le soluzioni teoriche sono praticabili da tutti. Alcune imprese hanno consegnato le macchine incomplete (senza una scheda o un inverter) perché il cliente lo aveva nella sua disponibilità. Ma è una rarità e non è praticabile nei Paesi in cui è impossibile consegnare le macchine senza il certificato di collaudo. «Far uscire la macchina dallo stabilimento senza collaudo - dice Pedrini - è un rischio. Basta una vite montata male per scambiare una sciocchezza per un danno. Il collaudo va fatto preferibilmente in azienda».
L’altra strada, che alcune aziende hanno imboccato, è la reingegnerizzazione delle macchine. Ma lo può fare solo chi produce tailor made, le aziende che per ogni ordine partono da un foglio bianco, una minoranza. Le altre, quelle che lavorano su standard, non possono buttare nel cestino anni di ricerca. La Sir di Modena produce integratori di robotica per molti settori industriali: dall’automotive, all’aeronautica. I suoi sistemi, utilizzati da molti big globali dell’industria, sono la mente e le braccia che consentono ai robot di lavorare sulle linee. Nel 2021 ha fatturato 35 milioni, ha 108 dipendenti. «Le nostre macchine», dice l’amministratore delegato Davide Passoni, «sono prototipi costruiti sulle esigenze dei clienti. Il 70% del materiale che utilizziamo cambia di volta in volta». Schede, Cpu, circuiti sono il pane quotidiano. «Siamo in attesa di materiale ordinato nel febbraio 2021 - spiega Passoni - . Ma ormai i grandi fornitori non danno più la data di consegna. In officina, sulla linea, abbiamo sette-otto sistemi da 30-40 metri che non chiudiamo perché mancano le schede. In giro per il mondo, troviamo materiale a 10-20 volte il prezzo normale. Ma se in una macchina ho cento schede e le devo pagare 250mila euro invece di 25mila euro, ho azzerato il margine. Lo facciamo per accontentare i clienti, ma così sarà difficile finanziare gli investimenti futuri».
Sir sta cercando la strada alternativa. «D’accordo con i clienti, che cambiano i capitolati del materiale - spiega Passoni - stiamo cercando di progettare partendo dalla componentistica disponibile comprandola da altre multinazionali. Ma dobbiamo cambiare linguaggi e standard informatici, assumere tecnici e aumentare le ore di consulenza e quindi i costi. Non possiamo continuare a fare i salti mortali. Siamo arrivati al punto di spedire in nave negli Usa un sistema senza l’armadio elettronico che intanto utilizzavamo a Modena per collaudare un’altra macchina. Finito il collaudo, lo abbiamo spedito negli Usa con l’aereo e montato sul posto».
Qualcosa di simile a quello che ha fatto Cavanna: per portare alla fiera Ipack-Ima di Milano una macchina innovativa ha dovuto rinunciare a tutto il portafoglio di novità che stava preparando per concentrarsi su un solo sistema. Che ha completato montando i circuiti prelevati dai laboratori di ricerca e le pulsantiere di vecchi strumenti. «Non facciamoci illusioni», dice Cavanna. «Questa situazione continuerà fino al 2024. Bisogna lavorare per adattare i nostri software interni e consolidare la struttura finanziaria delle imprese. L’erosione dei margini potrebbe mettere il settore in crisi di liquidità e patrimoniale».
Marco Sichi, responsabile del mercato interno della Bmr di Scandiano (Reggio Emilia), macchine per la ceramica, 70 milioni di fatturato, 110 dipendenti e due stabilimenti in Italia, è convinto che siamo all’inizio di una nuova era: «Industria 4.0 ci ha reso dipendenti dall’elettronica. Dobbiamo ripensare le imprese e anche il nostro modo di lavorare. Consegne a 24 o 36 mesi sarà la nuova normalità. Almeno fino a quando non avremo superato la transizione digitale».
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