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Roma capitale risarcisce la compagna del noleggiatore con conducente, ucciso dal tassista

Il Comune si deve dotare di strumenti idonei a sanzionare le condotte di forte disvalore sociale. Nel curriculum del tassista diverse denunce di clienti

di Patrizia Maciocchi

(IMAGOECONOMICA)

2' di lettura

Roma capitale deve risarcire la compagna dell’autista di un noleggio con conducente, ucciso da un tassista nel corso di una lite per l’accaparramento della clientela. L’amministrazione capitolina ha infatti, il dovere di valutare anche dopo l’iscrizione dei tassisti alla Camera di Commercio il possesso dell’idoneità psico-fisica e morale. E procedere alla revoca della licenza quando, come nel caso esaminato dalla Cassazione, ci sono precedenti per condotte di forte disvalore sociale. La Suprema corte, respinge così il ricorso di Roma Capitale, contro una condanna, a riconoscere il risarcimento in favore della donna. Un verdetto che in primo grado aveva riguardato anche la Camera di commercio, la cui responsabilità era stata riconosciuta in solido, per non aver cancellato dall’albo il tassista, malgrado una precedente condanna ad una pena pecuniaria, per reati contro il patrimonio. In seconda battuta la Corte d’Appello aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dalla vittima nei confronti della Camera di commercio, condannando la sola Roma capitale, al pagamento di 97 mila euro.

Le denunce dei clienti

La Corte territoriale aveva, con un verdetto che per la Cassazione è corretto, confermato l’obbligo di vigilanza a carico di Roma Capitale sul del trasporto pubblico non di linea, svolto da Taxi e Ncc, anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato. Dovere che, nello specifico, non era stato rispettato. Malgrado il “curriculum” del tassista, che aveva totalizzato nella sua carriera diverse denunce per aggressioni verbali e fisiche a danno di clienti. A fronte di queste condotte «di forte disvalore professionale e sociale» nessun provvedimento, neppure di tipo cautelare, era stato adottato per impedire la permanenza in servizio del tassista. Non passa la tesi della difesa di Roma capitale secondo la quale, in assenza di una condanna definitiva ad una pena detentiva per reati non colposi, non si poteva evitare la permanenza in servizio dell’uomo, pena la lesione di interessi e di una posizione giuridica soggettiva.

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La mancanza di strumenti sanzionatori

Per la Suprema corte il Comune ha un generale dovere di vigilanza e controllo sull’operato dei tassisti e dei conducenti. Doveva quindi adottare le misure necessarie perchè il trasporto si svolgesse in condizioni di sicurezza per utenti e collettività. Al Comune è dunque imputabile la mancata adozione di «strumenti regolatori specifici, cogenti e penetranti, idonei a sanzionare le condotte delle quali si fossero resi responsabili gli esercenti il trasporto pubblico non di linea».

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