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Roma, Milano e Napoli: gli epicentri politici

Nella graduatoria tra le città che “producono ministri”, elaborata da una ricerca Pagella Politica - Sole 24 Ore, Roma è nettamente prima

di Riccardo Ferrazza

Palazzo Chigi (Imagoeconomica)

6' di lettura

«Tutte le strade conducono a Roma» è un detto popolare valido non solo per la devozione religiosa ma che torna utile anche quando si parla del governo della cosa pubblica: nella capitale d’Italia (dal 1871) si viene per assumere incarichi ministeriali. È la regola della politica da un secolo e mezzo che si ripete identica per l’era repubblicana.

A guardare però la geografia dei ministri e sottosegretari che si sono succeduti in 75 anni ci si accorge che in molti nella “grande città” c’erano già: nati e cresciuti qui, hanno giurato nelle mani del presidente della Repubblica 157 “indigeni” cumulando oltre 400 incarichi complessivi. Un primato.

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Lontani i tempi dello sfogo che Giuseppe Gioacchino Belli metteva sulla bocca della “plebe di Roma”, quando a gestire il potere temporale era ancora il Papa: «Pìjjete gusto: guarda a uno a uno / tutti li Cardinali e li Prelati; / e vvederai che de romani nati / Sce ne sò ppochi, o nnun ce n’è ggnisuno». Non è più così e in queste ore è al lavoro un premier incaricato la cui città natale è proprio Roma.

Nella graduatoria tra le città che “producono ministri” - elaborata in base ai dati di Pagella Politica messi a disposizione del Sole 24 Ore - seguono forse prevedibilmente Milano (70 politici e 171 incarichi) e Napoli (53 politici e 154 incarichi).

Meno scontato è il peso specifico dei loro numeri e la loro specularità: se il capoluogo lombardo ha espresso due presidenti del Consiglio (Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, tra l’altro rispettivamente secondo e primo per la durata dei governi da loro presieduti), dal più grande centro del Mezzogiorno venivano invece due presidenti della Repubblica (Giovanni Leone e Giorgio Napolitano, quest’ultimo l’unico finora a essere stato eletto per due volte al Quirinale, ai quali si deve aggiungere Enrico De Nicola eletto capo provvisorio dello Stato nel 1946). Se si alza poi lo sguardo alle regioni, la Lombardia si riprende il primato sul Lazio.

Il caso Andreotti

Alla domanda “qual è il politico più celebre che le viene in mente?” in molti potrebbero rispondere ancora il romano Giulio Andreotti. Del resto è stato il più longevo (sette volte premier) e l’unico a essere presente in tutte le legislature della Repubblica (dal 1991 in qualità di senatore a vita).

Il suo profilo non collima con quello tipico delineato dalle statistiche dei 65 governi: è rimasto al governo pur in periodi diversi a lungo (e non per meno di un anno come la media) ed è arrivato a ricoprire il suo primo incarico a 27 anni, vale a dire quasi la metà della media di tutti i suoi colleghi.

Per converso chi si avvicina maggiormente all’identikit è il più anomalo delle figure emerse negli ultimi anni: Giuseppe Conte, chiamato a guidare due governi consecutivi con maggioranze radicalmente diverse senza aver alcuna esperienza politica alle spalle.

Ha giurato per la prima volta a 53 anni (52 anni e mezzo è la media) ed è un avvocato (come la maggior parte di chi ha avuto incarichi di governo). Non è nato a Roma ma in un paese della Puglia (Volturara Appula) con meno di 400 abitanti. Nell’Urbe ha insegnato e avviato la sua carriera professionale.

Passaggio al liceo Tasso

Nella Capitale si è sempre mosso invece Andreotti, in uno spazio di pochi chilometri delimitato da una parte dalla sua abitazione in corso Vittorio Emanuele e dall’altra dallo studio in piazza in Lucina: nel mezzo i “palazzi del potere” da lui frequentati per decenni (Palazzo Chigi, Palazzo Madama, Montecitorio).

La formazione di Andreotti passa attraverso un luogo cittadino che ha visto altri studenti destinati al potere: il liceo Tasso. Già frequentato dai figli di Benito Mussolini (Romano e Bruno), ha “maturato” negli anni molti giovani arrivati poi a incarichi governativi. Da Ugo La Malfa (che però era nato a Palermo) a Antonio Tajani e Paolo Gentiloni, quest’ultimo diventato premier nel 2016 dopo essere stato per due volte ministro (Comunicazioni e Affari esteri).

Con Gentiloni (palazzo di famiglia a due passi dal Quirinale ma di origine nobiliare marchigiana), ora commissario agli Affari economici, si evidenzia anche lo strano destino che lega la guida della città con il potere nazionale. Gentiloni è arrivato a Palazzo Chigi dopo aver fallito la corsa al Campidoglio (solo terzo alle primarie del centrosinistra che indicarono Ignazio Marino come candidato poi vincente), mentre ad altri non è riuscito di fare il percorso contrario e imitare il “salto di Chirac”, passato nel 1995 da sindaco di Parigi a presidente della Repubblica: Francesco Rutelli (sindaco di Roma per due mandati tra il 1993 e il 2001, più volte ministro) e il suo successore Walter Veltroni (2001-2008, anche lui con incarichi di governo alle spalle) furono entrambi sconfitti dal milanese Silvio Berlusconi.

Craxi, i leghisti, Berlusconi: i milanesi a Roma

Mercoledì l’ex Cavaliere era a Roma per partecipare al secondo giro di consultazioni con il premier incaricato Draghi. Mancava dalla capitale da un anno: nel frattempo ha cambiato residenza, non più Palazzo Grazioli ma la villa sull’Appia antica che era stata del regista Franco Zeffirelli.

Prima del Cavaliere la figura più rilevante della politica milanese nella capitale è stata a lungo quella del leader socialista Bettino Craxi (anche se la sua famiglia era di origine siciliana) con il suo luogo simbolo, l’hotel Raphaël. Nella lista dei milanesi scesi con lui a Roma da segnalare il “delfino” Claudio Martelli (anche per lui casa sull’Appia antica) e Ugo Intini. Con lo sguardo puntato solo sul capoluogo lombardo e non sull’intera Regione si rischia però di non far emergere i nomi dei protagonisti dell’ondata del Nord arrivata a Roma a metà degli anni ’80: lo storico segretario della Lega Umberto Bossi è nato infatti in provincia di Varese (Cassano Magnago), città del suo successore Roberto Maroni.

Ma anche di Mario Monti, premier e senatore a vita. Una carica che riporta alla memoria il milanese Cesare Merzagora, finanziere prestato alla politica e mai iscritto a nessun partito che, dopo un incarico da ministro nel governo di Alcide De Gasperi, fu senatore per dieci legislature. Nominato senatore a vita nel 1963, è rimasto in questa carica per 28 anni. Un primato, insieme all’altro: unico presidente supplente della Repubblica dopo il malore e le dimissioni di Antonio Segni.

Napoli tra Dc e Pci

A Milano non è riuscito quello che è successo a Napoli, la terza città “più governativa” con 53 politici e 154 incarichi: eleggere due capi di Stato, Giovanni Leone e Giorgio Napolitano (ai quali va aggiunto il capo dello Stato provvisorio Enrico De Nicola). Figli delle due principali famiglie politiche italiane, Democrazia cristiana e Partito comunista, ne riflettono anche le diverse storie: Leone diventò presidente del Consiglio senza mai essere stato (né prima, né dopo) ministro ma ricoprendo un ruolo istituzionale, come quello del presidente della Camera per poi salire al Colle.

Napolitano divenne ministro solo dopo la caduta del Muro di Berlino, a 71 anni (ma anche lui era passato per la presidenza di Montecitorio): fu il primo ex comunista al Viminale e al Quirinale.

Come per la Lombardia con Letizia Moratti (già sindaco di Milano) e Roberto Formigoni (a lungo presidente di regione) tra i ministri e sottosegretari si ritrovano gli amministratori locali della regione: come l’ex sindaco di Napoli e il governatore della Campania che, in questo caso, sono la stessa persona, Antonio Bassolino (nato ad Afragola). Nella lista campana non compare l’attuale governatore Vincenzo De Luca per un fatto anagrafico: nato a Ruvo del Monte, in provincia di Potenza, arrivò ancora piccolo a Salerno, città che poi ha guidato per molti anni.

Il caso Sassari

Messo da parte l’asse Roma-Milano-Napoli merita una deviazione l’epicentro politico più famoso fuori dal continente: Sassari. Qui si sono incrociati i destini di alcuni protagonisti della storia repubblicana: i democristiani Antonio Segni (che della Dc fu tra i fondatori) e Francesco Cossiga da una parte, i comunisti Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer. Tutti allievi, in epoche diverse, dello stesso liceo cittadino, “Domenico Alberto Azuni”.

Ma mentre Segni e Cossiga hanno ricoperto 23 incarichi in due prima di arrivare al Quirinale a distanza di 33 anni l’uno dall’altro (e le loro vite parallele si riflettono anche sui figli, Mariotto Segni e Giuseppe Cossiga, che hanno avuto a loro volta incarichi di governo), nella lista dei ministri e sottosegretari della Repubblica non compaiono mai gli altri due, entrambi segretari del Pci ai tempi dei blocci contrapposti.

Di Berlinguer al governo ce sono stati ma sono i fratelli Luigi e Sergio, cugini di Enrico. Togliatti (che era nato a Genova) fu Guardasigilli negli ultimi due governi del Regno d’Italia, guidati da Ferruccio Parri e Alcide De Gasperi. Prima della nascita della Repubblica e prima dell’estromissione del Pci dal governo.

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