Rossana Rossanda, ritratti accorati del Novecento
Il Pci (e non solo), gli intellettuali, le voci dell’arte, della letteratura della società rivelano l’essenza di un secolo
di Eliana Di Caro
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È bello centellinarli, soffermandosi sulla scelta delle parole, immergendosi nella situazione storica, ritrovandosi in accordo o dissentendo da alcuni giudizi: i ritratti di Rossana Rossanda, raccolti sapientemente da Franco Moretti e scritti sul «manifesto» in occasione della morte dei protagonisti, lasciano sempre qualcosa a chi legge.
Sono cinquantadue pezzi in cui l’autrice, scomparsa tre anni fa, più che ripercorrere sommariamente le vite di questi personaggi spiega che cosa hanno rappresentato, perché interessa ricordarli, come hanno inciso sulla politica, sulla cultura, sulla società. Lo fa con lo sguardo cui ci ha abituato, acuto e militante, e con una prosa mai banale.
La politica, inutile dirlo, è il fil rouge dominante. Per chi l’ha vissuta come Rossanda e gli altri della sua generazione stupirebbe il contrario. Il saluto alle compagne e ai compagni, anche coloro da cui si sente più distante (uno su tutti, Enrico Berlinguer), reca la consapevolezza di una dimensione totalizzante, di un sentimento d’appartenenza che supera tutto. Come ricorda Moretti nell’introduzione: «Un convergere di vite: aveva un senso, far parte di quel partito, non per la sua massiccia presenza in Parlamento (che pure c’era), non per il carisma dei suoi capi (che pure c’era), e meno che mai per i lugubri partiti fratelli (che c’erano purtroppo anche loro), ma per i rapporti orizzontali che sapeva creare: “Il legame fra comunisti allora, un rapporto totale e riservato, un vedersi camminare assieme, inciampare e raddrizzarsi assieme, sorridersi da lontano”», parole, queste ultime, dell’autrice nel tratteggiare Aldo Natoli.
Si ricostruisce così parte della famiglia del Pci: da Giorgio Amendola a Umberto Terracini, da Camilla Ravera a Paolo Spriano, da Eugenia Chiostergi appunto a Natoli, con accenti talora intimi, di chi ha condiviso un’unione esclusiva. Svettano pagine particolari, come quelle dedicate a Luigi Pintor, il maestro, «quello di noi a cui hanno voluto più bene». Accanto alla dimensione del partito, c’è la Politica che tutto comprende. Scrittrici come Natalia Ginzburg, compositori come Luigi Nono, artisti come Guttuso, critici come Fortini, il teatro di Strehler. La cifra dell’impegno accomuna voci ed esperienze, in un racconto collettivo che suona come un’integrazione della Ragazza del secolo scorso, perché lei – la direttrice della Casa della Cultura di Milano dei primi anni 50, la colonna del Pci e poi del «manifesto», la voce analitica del ’68, la donna dalla parte delle donne, anche se non subito – è dentro questi ritratti, in dialogo silenzioso con ciascuna e ciascuno.
Non ci sono solo personalità italiane, naturalmente. Stupenda, ad esempio, la descrizione di Simone de Beauvoir: «Aveva conservato nel fisico e nei modi qualche cosa della jeune fille rangée, della ragazza per bene, anzi di nobile famiglia, che se ne va da casa a mettere senza escandescenze ma pubblicamente in causa tutto di sé, senza riserve, senza margini di ripiego, e quel che è peggio mai concedendo l’impressione d’un disorientamento, d’una resa». Un profilo che si accompagna a quello di Sartre, così come quest’ultimo (in pagine tra le più intense del volume) non può prescindere dal ritratto di de Beauvoir («Aveva amato molte donne, che sapeva di sedurre non per come appariva ma per come era, e che non abbandonò mai, ad ognuna riservando una parte dei giorni e di sé; costruì con Simone de Beauvoir una coppia che traversò il secolo in fedeltà amichevole e totale»).
Una galleria del Novecento ricostruita anche grazie all’importante contributo di Doriana Ricci, per anni vicina all’autrice, che si apre con un pezzo uscito nel giugno del 1971 (quando «il manifesto» nella veste di quotidiano era in edicola da soli due mesi) dedicato a György Lukács, e si chiude con il ricordo della scrittrice tedesca Christa Wolf, pubblicato nel dicembre 2011, passando per voci che segnano il secolo: Salvador Allende, Primo Levi, Aleksandr Solženicyn. La struttura ricorrente – un incipit solenne e incisivo, uno sviluppo saggistico, il ricordo di fatti e tratti caratteriali filtrato dalle lenti di chi scrive – contribuisce a dare un’identità precisa a questi scritti (immediata sorge la curiosità di leggere gli altri non compresi nella raccolta, elencati in fondo, da Franco Basaglia a Maria Callas, da Raul Gardini a Wojtyla).
Gli unici capitoli davvero a sé, quasi dissonanti, sono quelli dedicati ad alcuni religiosi, i quali, ricorda il curatore, sono simili ai militanti comunisti per la totale adesione alle proprie scelte. Un nome per tutti, Adriana Zarri, «custode d’una lettura corretta delle scritture che le permetteva, anzi le comandava, di essere anche cittadina», osserva l’autrice, ritraendola con impeto gioioso: «Aveva molto amato la bellezza del mondo, i giorni, le stagioni, le creature, il cielo [...] agile, alta, ostinata, attiva [...] vestita sempre con qualche colore perché amava che di colore fosse adorno l’universo».
Immaginiamo Rossana Rossanda con un’aria pensosa, la stessa tracciata graficamente in copertina da Ugo Nespolo (riprendendo la celebre foto di Lucas) ma con un sorriso interiore, mentre scrive di Cesare Musatti, non risparmiando parole ironiche nei confronti dei compagni e, più in generale, del monolitico universo comunista: «La sua libertà era fuori discussione, era un uomo di sinistra com’era stato il primo divulgatore di Freud in Italia: una forma della cultura, del carattere. Con un accento singolare: la sinistra era asseverativa e sapeva tutto, lui aveva una irreprimibile curiosità». Non è finita: «Gli uomini di sinistra davano spesso sul triste, i suoi occhi ridevano sempre».
Rossana Rossanda
Volti di un secolo. Il Novecento in 52 ritratti
Introduzione e cura di Franco Moretti
Einaudi, pagg. 242, € 18
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