Rovagnati, appello al Governo per aggiornare la disciplina sui nitriti
L’azienda al lavoro con Assica per cambiare il decreto salumi del 2005 con l’obiettivo di poter chiamare “prosciutto cotto” anche i prodotti che non fanno uso di nitriti
di Micaela Cappellini
2' di lettura
Cambiare il decreto salumi del 2005 per portarlo al passo dell’innovazione tecnologica. È quanto chiede al governo Rovagnati, che sul dossier sta lavorando insieme ad Assica, l’associazione che riunisce i produttori italiani di salumi. L’obiettivo è di poter finalmente chiamare “prosciutto cotto” anche i prodotti che non fanno uso di nitriti. «Sette anni fa – spiega Gabriele Rusconi, direttore generale di Rovagnati – l’Oms raccomandò una riduzione del consumo di alimenti contenenti nitriti perché potenzialmente cancerogeni. Alla Rovagnati, con l’aiuto di alcune università americane ed europee, da tempo abbiamo sviluppato una tecnologia proprietaria che ci permette di conservare il prosciutto cotto senza l’uso di nitriti. Ma per la legislazione italiana un cotto senza nitriti non può chiamarsi prosciutto». Così, quello Rovagnati è costretto a chiamarsi Grancotto.
Il decreto salumi nasceva per la necessità di garantire la sicurezza alimentare dei prodotti, per esempio dal rischio botulino. Ma nel frattempo la ricerca è andata avanti e ha cambiato le carte in tavola. La stessa Unione europea, qualche settimana fa, ha approvato un regolamento che mira a ridurre del 20%, entro due anni, l’utilizzo di nitriti come additivi alimentari. «La Francia – aggiunge Rusconi - sta addirittura proponendo di portare a zero la presenza dei nitriti, visto che il 50% dei suoi consumatori già sceglie privi di questo genere di conservanti. Anche negli Usa il tema dei nitriti è molto sentito».
Francia e Stati Uniti sono tra i Paesi su cui Rovagnati oggi scommette di più, insieme a Germania, Svizzera, Hong Kong e Singapore. E infatti proprio all’espansione internazionale è dedicato il piano di investimenti in ricerca e sviluppo di 11 milioni di euro, appena approvato. «Sui mercati esteri abbiamo iniziato ad andare seriamente solo cinque anni fa – racconta Rusconi – a questi nuovi consumatori abbiamo scelto di non presentarci come l’azienda che fa i salumi della tradizione, ma come ideatori di prodotti innovativi, per questo investiamo nell’R&D. Nel 2022 l’export rappresentava solo il 6% del fatturato, quest’anno arriveremo al 9%. Quanto ai ricavi più in generale, per il 2023 ci aspettiamo una crescita del 5-6% a valore rispetto ai 337 milioni di euro del 2022. Ma a volume l’andamento sarà piatto».
Sul 2024 pesano invece le incognite dei consumi e di un nuovo aumento dei costi dell’energia spinti dall’escalation del conflitto in Israele. «Come produttori di salumi – aggiunge Rusconi – dobbiamo fare i conti anche con una minore disponibilità di carne suina. In Germania la produzione è diminuita del 20%: per via del prezzo troppo basso in passato, gli allevatori tedeschi hanno deciso di passare ai bovini, che sono più remunerativi». Oggi però il prezzo della carne di maiale è cresciuto: «Siamo ai massimi degli ultimi vent’anni – dice Rusconi – e in Italia il prezzo cresce anche perché gli allevatori devono fare i conti con gli extra-costi per la sicurezza resi obbligatori dal diffondersi della peste suina, e mi aspetto che l’anno prossimo questi costi rimangano stabili».
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