Rovesciare la logica del Patto di Stabilità
Dovrà essere ripristinato, presumibilmente a inizio 2023. In molti si augurano con regole completamente diverse. Ecco 4 punti chiave
di Fabio Masini
3' di lettura
Inizia la consultazione pubblica della Commissione UE sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita; di fatto sul ruolo delle regole fiscali nella governance economica europea. Sospeso all’inizio della pandemia, il Patto dovrà essere ripristinato, presumibilmente a inizio 2023. In molti si augurano con regole completamente diverse.
La consultazione pubblica sulla riforma del Patto e la parallela Conferenza sul Futuro dell’Europa offrono una straordinaria opportunità a cittadini, categorie produttive, accademia, società civile di dire la loro su come vorrebbero che le regole fiscali fossero modificate prima di rientrare in vigore. Provo ad accennare quali, a mio avviso, sono le richieste che dovrebbero essere maggiormente sostenute.
L’Italia ha un problema cronico di crescita, di investimenti pubblici e privati inferiori al resto d’Europa, che le risorse del Next Generation EU solo parzialmente possono rilanciare.
Primo punto, quindi: rendere strutturale uno strumento, come il NGEU, di investimento solidale, finanziato dal budget collettivo europeo. Non quindi una richiesta di mutualizzazione dei debiti pregressi, troppo spesso agitata scompostamente nel dibattito italiano, ma un impegno comune per sostenere investimenti nella produzione di beni pubblici europei, che ci consentano di rispondere al meglio alle transizioni avviate: infrastrutture di trasporto e digitali, ricerca, innovazione, sicurezza, transizione energetica, una politica industriale articolata a livello nazionale ed europeo in modo sinergico, piuttosto che competitivo. Mettendo insieme risorse pubbliche e private, secondo una logica simile a quella adottata col Piano Juncker, che ha permesso in 5 anni di attivare in Italia investimenti per oltre 70 miliardi di euro.
Secondo: assicurare alla UE una sua capacità fiscale autonoma, che la sottragga ai ricatti dei contributi nazionali, forieri solo di narrazioni (false) sulla contabilità del dare e dell’avere con l’Unione europea. Capacità fiscale che punisca i mali pubblici (emissioni di gas serra, profitti oggi non tassati delle multinazionali e dei giganti del digitale, movimenti speculativi di capitali, gioco d’azzardo, tabacco) consentendo di mettere insieme risorse sufficienti per finanziare i beni pubblici di cui sopra.
Terzo: anche solo simbolicamente, dovremmo chiedere che il Patto di Stabilità e Crescita venga rinominato Patto di Crescita e Stabilità, mostrando dopo 25 anni che la logica del “prima la stabilità” come prerequisito per la crescita vale, nell'attuale contesto macroeconomico, al contrario. Solo la crescita può garantire la stabilità macroeconomica e la sostenibilità del debito. Un cambiamento apparentemente nominale ma che, seguito da provvedimenti conseguenti, può portare ad un cambio di paradigma nell'impegno europeo a sostegno della crescita ed alla riduzione degli squilibri macroeconomici.
Quarto: la governance economica europea è fatta di una serie di norme che vanno riviste nel loro complesso: il Two Pack, il Six Pack, il Fiscal Compact, il Semestre Europeo non possono essere lasciati invariati. Dovremmo chiedere pertanto alla Commissione di ripensare l’intera struttura di politica economica in un’ottica finalmente e genuinamente multilivello, nella quale magari il Fiscal Board serva, più che come organismo consultivo, come vero e proprio organo di ripartizione delle responsabilità fiscali fra i vari livelli di governo: nazionale (e sub-nazionale) e sovranazionale. O, meglio ancora, che nasca finalmente un Ministero del Tesoro per la Ue, democraticamente legittimato, che renda fra loro sinergiche le scelte fiscali di ciascun paese e della Ue nel suo complesso.
Infine, ricordiamoci che, per quanto il Commissario Gentiloni abbia ventilato l’ipotesi che in materia fiscale si possa aggirare un accordo all’unanimità, politicamente il compromesso sul Patto non potrà essere adottato senza un consenso unanime, fino a quando non metteremo mano alla riforma dei Trattati.
Un atteggiamento serio e costruttivo da parte dell’Italia, non solo nella gestione del PNRR, ma anche della posizione negoziale che terrà in questa partita per la revisione del Patto, è cruciale per il futuro della governance economica europea.
L'alternativa sarebbe il ripristino del Patto così com'era (come già viene ventilato nell’ipotesi per l’accordo di governo in Germania sottoscritta da Spd, Verdi e Liberali); e non mi pare sia nell'interesse del paese, nè dell'Europa che vogliamo costruire per il futuro.
* Fabio Masini è Jean Monnet Chair a Roma Tre e Direttore di Euractiv Italia
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