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Rubini, Meneghin e quegli indimenticabili anni d’oro del basket italiano

Due libri raccontano l'epopea del basket in Italia, dal dopoguerra all'exploit della Milano di Peterson, Meneghin e D'Antoni

di Dario Ceccarelli

Anni ’80 Dino Meneghin e Vecchiato

5' di lettura

Ognuno di noi, anche il più incallito trinariciuto, ha una sua America. Un'America intesa come posto del cuore. Come l'ultimo rifugio conosciuto quando le cose vanno meno bene e allora per tirarci su il morale ci diciamo: eh, sì, quel periodo è stato davvero bello, anni formidabili, ce la siamo goduta e adesso pazienza… Capita col cinema, la politica, la musica e soprattutto con lo sport, materia adattissima ad incatenarci il cuore perché quasi sempre coincidente con momenti particolari, forse i migliori, della nostra vita.

C'è il ciclismo “eroico” di Coppi e Bartali ricordato, a volte a sproposito, quando qualche corridore, non ancora di prima fila, vince audacemente. C'è quel calcio dei boomers, quello in bianconero di Rivera e Mazzola, mai dimenticato nonostante tutto quello che nel calcio è arrivato dopo. C'è la prepotente atletica di Pietro Mennea e Sara Simeoni, simboli di un'Italia che finalmente mette in riga russi e americani. E poi gli exploit travolgenti di Alberto Tomba e Deborah Compagnoni nello sci degli anni Novanta. E le sgommate di Valentino Rossi, le bracciate di Federica Pellegrini.

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Belle storie, scolpite nei archivi della memoria, che sembrano irripetibili. Ma bisogna stare attenti, perché la memoria, lo sapete bene, gioca spesso brutti scherzi rischiando di farci diventare patetici agli occhi dei “millenial”, un po' invidiosi per questo stupendo passato che ritorna sempre fuori a ricordare, come un coniglio dal cappello, che forse il meglio è appunto già passato.

Insomma, prudenza. Non farsi prendere la mano dalle trappole della nostalgia, sempre in agguato quando si gioca con la memoria. Come cantava Jannacci, ci vuole orecchio. Una certa sensibilità che non faccia velo alla lucidità.

Ecco Antonio Dipollina, noto commentatore televisivo di Repubblica, con licenza di graffiare nello sport, questa sensibilità la fa trasparire attraverso le pagine di un libro (La nostra America, gli anni d'oro del basket italiano, Hoepli) che è un magnifico viaggio nel periodo ruggente di uno sport che, fino a quel momento, era confinato in poche zone nebbiose del Nord, tra Milano, Varese e Cantù; praticato da tipi originali che con un certo di sussiego snobbavano il tirannico Dio del calcio, mostro onnivoro ormai imperante.

Anni’ 80 gara di Basket internazionale Italia-Spagna: Dino Meneghin in azione (Archivio Storico Olycom/Lapresse)

“Una sana diversità”, scrive nella prefazione Giovanni Petrucci, una diversità che però in breve riuscirà a far diventare la pallacanestro secondo sport di squadra in Italia.

Il pregio di questo libro, ben documentato, è che senza sentimentalismi riesce a riportarci in un'Italia che dà il definitivo addio al Dopoguerra con l'arrivo massiccio di nuovi sponsor che vedono nel basket un traino per i loro affari. Pensiamo alla Ignis di Varese con i frigoriferi e gli elettrodomestici di patron Borghi. Oppure alla carne Simmenthal, un marchio che diventerà simbolo della squadra di Milano, fino al punto da essere “oscurata” dall'enorme popolarità delle scarpette rosse. Poi la Sinudyne che certificò l'avvento dei televisori a colori. O Cantù che, come precisa Pierluigi Marzonati, indimenticabile playmaker, era la “cittadina piena di artigiani che facevano mobili per i borghesi ricchi di Milano”.

Un mondo in grande fermento, come è in fermento il basket che ne intercetta il dinamismo. Anche i grandi giornali si svegliano e cominciano dedicargli spazi di rilievo. E così pure la Rai che, attraverso la voce di Aldo Giordani, entra nelle case facendo quasi concorrenza al calcio.

Ma dietro a questa onda, impetuosa, spiccano le figure memorabili dei protagonisti. Giocatori, tecnici, dirigenti che fanno fare un enorme balzo in avanti a una disciplina finora ritenuta elitaria. Grandi personaggi, ferocemente rivali, uniti però da una incredibile passione. A partire da Cesare Rubini, giocatore, allenatore e dirigente pluridecorato, a Sandro Gamba che porterà la nazionale azzurra alla conquista dell'Europa nel 1983 a Nantes. Senza dimenticare Dan Peterson - il poliedrico coach - che porterà dall'America una nuova mentalità mutuata dalla NBA nella gestione complessiva di una squadra.

Figure strepitose, che vengono dall'università, parlano l'inglese e che, oltre a giocare a basket, diventeranno ingegneri, medici, avvocati. Il libro sfugge dalla retorica proprio perché gli stessi protagonisti, nei loro racconti, escono dai triti luoghi comuni dello sport.

Narratori straordinari. Come Valerio Bianchini, detto “il Vate”, che oltre ad essere un versatile giocatore ed allenatore, è un ottimo comunicatore, già “social” prima dell'avvento dei social. Formidabili le sue polemiche con Dan Peterson per elettrizzare la vigilia delle grandi sfide.

Tutti personaggi di enorme spessore, mai banali, mai sfuggenti. Perfino superfluo ricordare Dino Meneghin, il campione più campione. Poi Aldo Ossola, detto Von Karajan perchè guidava la squadra come un direttore d'orchestra. E ancora Mike D'antoni, eccezionale playmaker e anche allenatore.

I loro racconti, in presa diretta fanno inevitabilmente venire la pelle d'oca e un filo di nostalgia a chi ha memoria di quegli anni. In fondo ci sta. Chiamiamola nostalgia buona. Un certo Lucio che, proprio in quegli anni stava alzando la voce, le avrebbe chiamate emozioni.

Indimenticabile
A proposito di grandi figure da non far retrocedere negli archivi della memoria, ci viene in aiuto un altro prezioso libro (Indimenticabile, Cesare Rubini un guerriero dello sport, SPORT&PASSIONE) scritto da due valenti colleghi di lungo corso, Oscar Eleni e Sergio Meda, che con la loro iniziativa hanno reso il giusto tributo all'unico italiano ad essere inserito in due Hall of Fame statunitensi, quella della pallanuoto e della pallacanestro.

Un mito dello sport, Cesare Rubini, entrato nella leggenda di due discipline svettando prima come atleta poi come allenatore e dirigente. Riassumere qui tutti i suoi primati è praticamente impossibile. E quindi vi rimandiamo al libro che ne esplora, con le testimonianze di chi lo ha affiancato, ogni lato della sua poliedrica figura. Basti dire che nella pallanuoto, oltre ad aver vinto per 6 volte il titolo italiano, ha conquistato un oro e un bronzo alle Olimpiadi di Londra (1948) e di Helsinki (1952). Nel basket, nel periodo 1950-'72 , ha vinto 15 titoli come allenatore giocatore con l'Olimpia di Milano. E sempre come coach della squadra milanese ha conquistato una Coppa dei Campioni (1966) e e due Coppe delle Coppe nel 1971 e nel '72.

Ma tutti questi record non rendono comunque la statura di un uomo costantemente all'avanguardia e sempre pronto a mettersi in discussione. Triestino, morto nel 2011 a 88 anni, Rubini era un lottatore. Un osso duro che chiedeva il massimo ai suoi giocatori, dopo però averlo chiesto a se stesso. Un ruvido, un brutto carattere, come quasi tutti quelli che hanno carattere. Ma sempre pronto a difendere la sua squadra, il suo gruppo. Un concreto visionario che ha inventato la pallacanestro moderna portandola, nella comunicazione e nell'abbigliamento, fuori dai vecchi confini. O si era con lui o contro di lui. Un magnifico lottatore che, nelle sue baruffe, conservava comunque stile ed eleganza. Lo chiavano il Principe. E non è necessario spiegarne il perché.

Ps: Il ricavato della vendita di “Indimenticabile”, insieme ad altre donazioni, servirà finanziare una borsa di studio per giovani talenti del basket e della pallanuoto che emergono nei ruoli di allenatore o dirigente sportivo a livello societario e federale.

I libri di cui abbiamo parlato:


La nostra America. Gli anni d'oro del basket italiano
Hoepli, 24 euro

Oscar Eleni e Sergio Meda
Indimenticabile. Cesare Rubini, un guerriero dello sport
Sport&Passione, 12 euro

Riproduzione riservata ©

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