Cnel: Italia in linea con direttiva Ue su salario minimo, ma serve un piano di azione
Il Cnel chiude il lavoro istruttorio sulle proposte da inviare al Governo. Voto contrario della Cgil, Uil astenuta. La contrattazione collettiva supera le soglie retributive orarie di sei, sette euro
di Claudio Tucci
I punti chiave
3' di lettura
Primo: dai dati a disposizione, il «tasso di copertura della contrattazione collettiva si avvicina al 100%»; una percentuale di gran lunga superiore all’80% (parametro indicato dalla direttiva Ue sul salario minino). Di qui, «la piena conformità dell’Italia ai due principali vincoli stabiliti dalla direttiva europea, e cioè l’assenza di obblighi di introdurre un piano di azione a sostegno della contrattazione collettiva ovvero una tariffa di legge». Secondo: sempre dai dati disponibili «è noto che il Ccnl è applicato al 95% dei lavoratori dipendenti italiani», pari a oltre 13,8 milioni di persone. C’è poi un 4% appartenente al lavoro pubblico (usano il codice CPUB senza specificare il Ccnl). Pertanto non si conosce il contratto dell’1% del privato, diverso da agricoltura e lavoro domestico (qui pesano però anche i tempi un po’ lunghi dovuti al processo di inserimento dei nuovi codici nel flusso Uniemens).
La contrattazione collettiva supera le soglie retributive orarie
Terzo: se si volesse fare un confronto tra tariffe contrattuali e una ipotetica tariffa legale i parametri suggeriti dalla direttiva Ue portano a valorizzare il 50% del salario medio e il 60% del salario mediano. Ebbene, l’Istat stima in 7,10 euro il primo, e in 6,85 euro il secondo. Ecco perché, «rispetto a questi indicatori è pertanto possibile affermare, anche in assenza di condivisione sui criteri di calcolo delle voci retributive che concorrono a definire il salario minimo adeguato, che nel complesso, pur con non trascurabili eccezioni, il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente dette soglie retributive orarie».
Voto contrario della Cgil
Sono questi i tre passaggi chiave contenuti nel documento (oltre 20 pagine) sugli esiti della prima fase istruttoria tecnica su lavoro povero e salario minino, approvato dalla commissione dell’Informazione, con il solo voto contrario della Cgil (la Uil si è astenuta), e illustrato ieri all’assemblea del Cnel, presieduta dall’economista Renato Brunetta (lo scorso agosto la premier, Giorgia Meloni, ha affidato al Cnel l’incarico di redigere, in 60 giorni, analisi e proposte).
Povertà lavorativa oltre il salario
Il paper di analisi (per le proposte occorre aspettare ancora qualche giorno) parte da una premessa molto chiara, vale a dire che la povertà lavorativa è un fenomeno che va oltre il salario, e riguarda « i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno), la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e l’azione redistributiva dello Stato».
Il tema dei contratti “pirata”
Certo, l’archivio dei contratti del Cnel segnala la criticità del fenomeno dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi; e c’è poi il tema dei contratti cosiddetti “pirata”. E anche qui si forniscono i dati precisi: le categorie che aderiscono a Cgil, Cisl, Uil firmano 211 contratti collettivi nazionali di lavoro, che coprono 13.364.336 lavoratori dipendenti del settore privato (sempre con eccezione di agricoltura e lavoro domestico); gli stessi rappresentano il 96,5% dei dipendenti dei quali si conosce il contratto applicato (o il 92% del totale dei dipendenti tracciati nel flusso Uniemens). I sindacati non rappresentati al Cnel al momento attuale firmano 353 Ccnl che coprono 54.220 lavoratori dipendenti, pari allo 0,4% dei lavoratori di cui è noto il Ccnl applicato. Altro dato da tenere in considerazione è quello delle giornate medie retribuite che, in Italia, sono 235 (Istat). Nei servizi di alloggio e di ristorazione le giornate medie di lavoro sono solo 143 (difficile qui capire il peso delle giornate “in nero”).
Necessario un piano di azione nazionale
Alla luce di tutti questi dati, e al netto delle decisioni politiche del governo, il documento del Cnel conclude sull’«urgenza» e sull’«utilità» di un «piano di azione nazionale» a sostegno «di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva» per adeguarla alle trasformazioni in atto e per offrire una risposta sinergica «tanto alla questione salariale (per tutti i lavoratori italiani e non solo per i profili professionali collocati agli ultimi gradini della scala di classificazione economica e inquadramento giuridico del lavoro) quanto al nodo della produttività».
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