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Salario minimo, diamo fiducia al Cnel e cerchiamo di utilizzarlo al meglio

Il grandissimo impegno dimostrato in questi giorni da Renato Brunetta per rispettare i tempi del calendario che gli ha dato Palazzo Chigi (60 giorni per elaborare una proposta, ndr) sembra confermare che Giorgia Meloni abbia fatto veramente la mossa giusta

di Giancarlo Mazzuca

(IMAGOECONOMICA)

2' di lettura

Mai dire mai. Tra le tante polemiche di quest'agosto vacanziero ma anche concentrato sui tanti problemi che fanno intravedere un autunno caldo dopo un'estate torrida, c'è stata quella sul Cnel, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, che, un tempo, veniva pomposamente chiamato “la terza Camera”. Pochi giorni prima di Ferragosto, la premier Meloni ha infatti estratto dal cilindro un coniglio a sorpresa: perché non affidare proprio all'organismo costituzionale di Villa Lubin (il sontuoso edificio donato dal filantropo canadese David Lubin allo Stato italiano nel 1908) il difficilissimo compito di mettere ordine nel “dossier” infinito del lavoro e del salario minimo?

Apriti cielo! Da molte parti si sono levate le proteste: come illudersi che il Consiglio presieduto da Renato Brunetta – che, per la verità, appena insediato nell'aprile scorso a Villa Lubin, si è subito dato da fare – fosse in grado di uscire dal letargo e mettere ordine in una materia tanto delicata e di primaria importanza? Come pensare che, dopo decenni di inattività quasi completa, quell'organo potesse elaborare in appena sessanta giorni – è il termine che la Meloni ha dato a Brunetta – uno studio il più possibile completo? E ha ricominciato a circolare la parola d'ordine che ben si adatta alla situazione: «Mai svegliare il Cnel che dorme!». Ma tutto questo pessimismo serve a qualcosa?

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È vero, è stato paradossale il fatto che si siano tenuti in vita carrozzoni pubblici che hanno continuato a pesare sulle casse dello Stato (il Cnel per una decina di milioni di euro all'anno) senza portare a casa grandi risultati, ma proprio per questo dobbiamo adesso cercare di fare in modo che almeno l'organo in questione, visto che non siamo riusciti ad abrogarlo con il referendum del 2016, sia messo in condizione di poter lavorare. E proprio “Sale in zucca” pose nel 2021 questa domanda: perché gli italiani non si fanno finalmente aiutare dal Cnel, considerando i tanti problemi sul tappeto sul fronte dell'economia e del lavoro? Aggiungevamo che, con la crisi economica in atto per via del Covid, la “terza Camera”, allora presieduta da Tiziano Treu, avrebbe potuto indicarci finalmente la rotta giusta.

A distanza di due anni, Giorgia Meloni si è mossa ora sulla stessa linea e sta cercando di risvegliare davvero la “bella addormentata”. Il grandissimo impegno dimostrato in questi giorni da Brunetta per rispettare i tempi del calendario che gli ha dato Palazzo Chigi sembra confermare che Giorgia abbia fatto veramente la mossa giusta: cerchiamo di utilizzare al meglio un organo costituzionale. Tempo fa, considerando che il letargo del Consiglio sembrava senza fine, il termine “terza Camera” venne trasferito alla trasmissione televisiva “Porta a porta” di Bruno Vespa, ma oggi potrebbe tornare a casa: Villa Lubin. Sarebbe, infatti, il sinonimo giusto per descrivere un Cnel che non è più addormentato. Tocchiamo ferro: che sia la volta buona?

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