Salario minimo: servono controlli non leggi
di Andrea Chiriatti (Relazioni Sindacali Fipe) e Luciano Sbraga ( Ufficio Studi Fipe)
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Il dibattito sul salario minimo per legge, a cui ha dato impulso il ddl n. 1275 presentato alla Camera dei Deputati lo scorso 4 luglio, offre l'occasione per mettere il lavoro al centro del dibattito pubblico e con esso il ruolo della contrattazione collettiva soprattutto per la parte che riguarda i trattamenti retributivi minimi. In un recente articolo pubblicato sul Bollettino ADAPT lo scorso 3 luglio, il Prof. Michele Tiraboschi, ordinario all'Università di Modena e Reggio Emilia, e il dott. Francesco Lombardo, assegnista di ricerca presso la medesima Università, segnalano, nell'ambito di una ricostruzione intersettoriale dei livelli retributivi minimi orari che ha interessato anche il CCNL sottoscritto da Fipe-Confcommercio, che solo i lavoratori all'ultimo livello, il settimo, avrebbero una retribuzione oraria sotto la soglia dei 9 euro, precisamente di 8,77 euro. Il valore è stato calcolato a partire dal minimo tabellare, a cui sono state sommate solo le mensilità aggiuntive (13-esima e 14-esima mensilità). In questi giorni la Fondazione Consulenti del Lavoro ha pubblicato uno studio con identiche finalità da cui è emerso che per quanto riguarda il contratto applicato dai pubblici esercizi la retribuzione oraria del settimo livello sarebbe di 9,40 euro se si considerasse, oltre alle mensilità aggiuntive, anche il TFR in quanto retribuzione differita. Ma il CCNL in questione prevede tutta un'altra serie di istituti, a cominciare dal fondo di assistenza sanitaria integrativa più numeroso d'Italia (EST), che hanno ricadute sulla retribuzione oraria e che finirebbero per rafforzarla ben oltre la soglia dei 9 euro anche per questi lavoratori che, impiegati principalmente nelle attività di pulizia e logistica, costituiscono una parte minoritaria del complesso dei dipendenti del settore. Tuttavia, in un recente articolo su “La Repubblica” il Prof. Tridico indicava in 576 mila i lavoratori sotto la soglia dei 9 euro l'ora occupati nelle imprese che operano nel settore allargato dei servizi di alloggio e ristorazione. Numeri sostanzialmente confermati da Istat nel corso di una recente audizione alla Camera: il 23,2% dei rapporti di lavoro (633 mila) instaurati nel settore “alloggio e ristorazione” presenta una retribuzione oraria inferiore a 9 euro. Mettendo in fila tutti questi elementi è evidente che qualcosa non funziona. Insomma se il CCNL più rappresentativo prevede, di fatto, retribuzioni orarie al di sopra della soglia dei 9 euro, come mai c'è un significativo numero di lavoratori per i quali la retribuzione oraria è più bassa? A nostro avviso due sono le ragioni. La prima riguarda l'applicazione non rigorosa delle prescrizioni contrattuali a svantaggio di un certo numero di lavoratori; la seconda, più rilevante, deriva dal problema della cosiddetta contrattazione pirata. Si tratta, infatti, dei 31 contratti di categoria depositati presso il CNEL, che vengono applicati nel settore dei pubblici esercizi e che si fondano sul principio della sottrazione, che toglie diritti ai lavoratori, valori al lavoro, produce concorrenza sleale e alimenta la ricerca di scorciatoie come quella del salario minimo per legge. La Contrattazione Collettiva deve vedere rafforzato il suo ruolo di presidio della legalità, utile a dimostrare, tra l'altro, che non vi sono altre strade per dare dignità al lavoro anche attraverso una giusta retribuzione. Due pratiche illegali, e sottolineiamo illegali, che pure verrebbero adottate in modo significativo stando ai numeri che abbiamo appena visto. E' bene ricordare, infatti, che già oggi è stabilito che per calcolare il minimo contributivo applicato a ciascun rapporto di lavoro si deve prendere a riferimento il livello retributivo individuato dal CCNL
comparativamente più rappresentativo. E' allora evidente che questa distorsione non si contrasta con una nuova norma, in questo caso sul salario minimo, ma con un sistema efficace di controlli. Basterebbe che l'INPS misurasse “l'affidabilità” retributiva delle imprese sulla base di parametri già esistenti e da qui pianificasse una vera azione di controllo per salvaguardare la legalità e soprattutto il rispetto del principio di buona concorrenza tra le imprese, anche a garanzia dei diritti dei lavoratori. È opportuno ricordare, infine, che il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro prevede una complessa architettura normativa con un sistema di welfare di derivazione contrattuale che comprende l'assistenza sanitaria e previdenziale, oltre ad una serie di istituti, che hanno un valore economico rilevante e che riguardano il lavoro straordinario, notturno, domenicale, festivo e vari congedi correlati alla normativa vigente. Anche su questo fronte l'Ispettorato Nazionale del Lavoro dispone già degli strumenti necessari ad individuare applicazioni non corrette della regolazione contrattuale da parte delle imprese ad ulteriore conferma che la fissazione di una soglia minima oraria non costituisce un vero deterrente all'irregolarità e all'elusione delle regole. In sostanza, se si parla di salario minimo si può con fondatezza affermare che questo già esiste ed è quello dei CCNL più rappresentativi che sono da sostenere e favorire, proprio nel più autentico rispetto della direttiva europea in materia di salario minimo. In questa sede ci preme evidenziare come una questione seria, quella salariale, non possa essere liquidata attraverso soluzioni semplicistiche che potrebbero rivelarsi addirittura più dannose per i lavoratori stessi. La fuga dai sistemi più rappresentativi di contrattazione con il progressivo sfarinamento delle regole applicate all'interno delle imprese potrebbe creare differenze pericolose nella regolamentazione dei rapporti di lavoro non solo all'interno dello stesso settore economico, ma anche tra diversi territori. Ci troveremmo dinanzi ad una situazione in cui le conseguenze di un intervento pur diretto a migliorare le condizioni retributive potrebbe generare l'effetto opposto, cioè quello di disarticolare ulteriormente i rapporti tra impresa e lavoro in un momento di enorme complessità per il sistema economico e sociale. Occorre rafforzare, invece, la centralità dei contratti collettivi più rappresentativi e implementare un sistema di controlli basato sull'intelligenza di banche dati già disponibili per evitare dispendiosi sprechi di risorse ed assicurare risultati efficaci.
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