Salewa rilancia i tessuti alpini per una nuova filosofia della montagna
Il marchio del gruppo Oberalp vuole ridare vita alla filiera della lana e della canapa delle Alpi e sostenere le comunità locali. Promuovendo un più consapevole contatto fra persone e natura
di Chiara Beghelli
4' di lettura
«C’è chi non sa vedere nell’alpinismo che un mezzo per fuggire la realtà dei giorni nostri. Ma non è giusto. Non escludo che in chi lo pratica possa manifestarsi temporaneamente una qualche componente di fuga, questa però non dovrà prevaricare mai la ragione di base, che non è quella di fuggire, bensì di raggiungere». Nelle parole dell’alpinista Walter Bonatti la montagna non è un altrove, ma luogo d’origine e di riconnessione. Un contesto che modella in questo senso anche nuovi modi di produrre e consumare: nella moda, per esempio, può voler dire essere consapevoli dell’identità di ciò che si indossa, delle sue connessioni con l’ambiente e con le comunità dove nasce.
Quando nel 2011 Heiner Oberrauch, presidente di Oberalp, ha inaugurato a Bolzano la nuova, ambiziosa e sostenibile sede di Salewa, il marchio di abbigliamento per la montagna fondato a Monaco nel 1935 e il più importante del gruppo (con 150 milioni di fatturato circa su un totale di oltre 360), ha voluto soffermarsi sul percorso di crescita compiuto dalla sua famiglia da quando lo aveva rilevato, nel 1990. Nel progetto firmato Cino Zucchi e Park Associati la volontà di alimentare un legame con il territorio e la comunità passavano anche da una parete per arrampicarsi, poi da un orto sociale aperto ai collaboratori e che è diventato in seguito sede di un progetto per l’integrazione dei migranti. Oberrauch riflettè sull’importanza di tornare alle origini, ai tessuti di montagna come il loden con cui i suoi antenati avevano iniziato la loro attività commerciale, primo nucleo di quello che sarebbe diventato un grande gruppo con 13 marchi. Ancora più indietro, tornare alla lana di quelle pecore che per millenni avevano abitato valli e alpeggi dell’Alto Adige, una lana tenace che però quelle più adatte al commercio e al consumo globale, provenienti in massa dall’altra parte del globo, rischiavano di far sparire.
«Fino a quel momento la lana non era stata una fibra protagonista in Salewa – dice Christine Ladstädter, responsabile della ricerca sui nuovi materiali –, ma poi ci siamo guardati intorno e resi conto che proprio qui avevamo tutto ciò che ci occorreva per raccontare una nuova storia». A mettere le basi del progetto TirolWool, la lana tirolese con cui Salewa ha dato forma alla sua filosofia di riconnessione, è stato un fortunato incontro di passioni: quella di Oberrauch, quella di Peter Veider, già capo del soccorso alpino tirolese che desiderava per il suo team capi che raccontassero il territorio, e quella dell’associazione degli allevatori della pecora con gli occhiali della Val di Funes (la Villnösser Brillenschaf), in cerca di un modo per ridare valore alla pregiata ma poco commerciabile lana dei loro animali e non essere più costretti a smaltirla come rifiuto speciale.
Con anni di lavoro e ricerca per valorizzare le proprietà della lana a fini sportivi, e mettendo in piedi una filiera virtuosa che ha coinvolto anche aziende tessili venete e piemontesi, Salewa ha lanciato prodotti capaci di garantire la sopravvivenza degli animali, sostenere i loro allevatori, le loro terre e la loro secolare cultura. E se in Val di Funes appena 20 anni fa vivevano poche decine di capi, oggi le pecore che danno la loro lana per il progetto Salewa sono 700. Ad alimentare questo progetto di recupero e salvaguardia ha contribuito anche Oskar Messner, chef di Funes, che una quindicina di anni fa ha lanciato il progetto Furchetta, per valorizzare anche la pregiata carne delle Villnosser offrendola nel suo ristorante Pitzock, facendone salumi. Dal maggio 2022, grazie alla visione di Oskar e dei suoi collaboratori, la Val di Funes è diventata l’unica valle dell’Alto Adige a essere un presidio Slow Food Travel.
«Nei nostri capi abbiamo voluto riprendere non solo un materiale, ma anche tessuti tipici come il Sarner, una maglia da lavoro, arricchendoli con le nostre tecnologie d’avanguardia come il trattamento Responsive, un filato di poliestere riciclato che contiene minerali capaci di aumentare le performance sportive e favorire il benessere», spiega Christine Ladstädter. Oltre alla lana, però, Salewa sta investendo anche nella ripresa della filiera della canapa alpina, un’altra fibra in passato largamente diffusa nella zona: «È una delle fibre più sostenibili in assoluto – prosegue – e in queste aree era materia prima per cordame e attrezzi. Si dice che ogni maso un tempo avesse un suo sistema per produrla».
La produzione della canapa tessile si sta lentamente ripristinando, ma le quantità sono ancora molto limitate. Per ora, dunque, Salewa deve comprare filato di canapa dalla Cina, dove la cultura tessile della pianta è antichissima e non è mai venuta meno, come invece è accaduto in Italia. Ma ha deciso di destinare il 10% della vendita di ogni capo con “Alpine Hemp” al finanziamento della filiera alpina.
In senso più ampio, l’obiettivo del marchio, che, come il resto del gruppo Oberalp, punta alle emissioni zero entro il 2030, è proporre un modo nuovo di comprendere la montagna attraverso ciò che si indossa per viverla, soprattutto a chi l’ha riscoperta dopo gli anni della pandemia come luogo di riconnessione, sulla scia delle parole di Walter Bonatti. Sia la lana sia la canapa tirolese sono protagoniste della collezione Alpine Life, firmata dal team creativo guidato alla giovane designer Daniela Di Brizzi, che ha deciso di lasciare Milano per abbracciare la filosofia di questa montagna da indossare. Capi dalla vestibilità quasi urbana, pensati per sportivi che amano portare con loro la comodità e la versatilità dell’abbigliamento quotidiano anche in vetta.
Una nuova visione da interiorizzare anche con la poesia: su piccole etichette cucite all’interno dei capi della collezione sono riportati versi scritti con un alfabeto composto di aghi di abete, un linguaggio segreto creato dell’artista Mirijam Heiler e che offre la possibilità di riconnettersi, ancora una volta, con la natura più profonda. Anche la nostra.
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