Salinità dei terreni, la ricerca scende in campo
A Pisa l’Università si concentra su piante capaci di vivere in ambienti salini mentre alla Sapienza si studia come renderle resistenti
di M. Cristina Ceresa
I punti chiave
3' di lettura
Non bastano siccità, grandine, picchi di calore: l’agricoltura è alle prese con un’altra tematica di forte impatto sui raccolti. Il nuovo problema si chiama “salinità dei terreni”. La salinità è «direttamente collegata alla desertificazione e al dissesto idrogeologico», ricorda Dario Kian, ingegnere ambientale di Ersaf, ente regionale servizi agricoltura foreste Lombardia. Dal Nord al Sud Italia gli agricoltori sono in allerta. Per fortuna anche la ricerca.
«Il problema si innesta in diverse maniere con l’evaporazione dell’acqua dal suolo dovuta al riscaldamento, per la mancanza di piogge, a causa degli incendi, o per lo scorretto uso dei fertilizzanti o per il disboscamento – spiega Raffaele Dello Ioio, professore alla Sapienza di Roma- . Inoltre, lo scioglimento dei ghiacciai e dei poli dovuto al riscaldamento globale innesca l’innalzamento del livello del mare e inondazioni che determinano l’aumento dei livelli di sale».
Colpito il 25% delle terre irrigate nel Mediterraneo
Anche le foci dei fiumi risentono del fenomeno: il Po lo scorso anno ha visto le acque saline risalire dalla stessa foce. All’Università di Pisa, Anna Maria Ranieri è la referente italiana del progetto HaloFarMs finanziato da fondi europei all’interno dei progetti Prima (Partnership for research and innovation in the mediterranean area). La docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali spiega la gravità del problema dando due numeri: «Circa 18 milioni di ettari, corrispondenti al 25% del totale delle terre irrigate nell’area mediterranea, sono colpiti dal fenomeno della salinità».
Così a Pisa ci si sta concentrando nello studio delle alofite (piante capaci di vivere in ambienti salini) e HaloFarMs - acronimo di Development and optimization of halophyte-based farming systems in salt-affected mediterranean soil - punta a indagare le loro caratteristiche di adattamento mediante meccanismi specializzati nell’assorbire i sali presenti.
La sfida è la resistenza
Cosa succede se «coltiviamo queste piante in consociazione o in rotazione con le piante glicofite (rappresentanti il maggior numero di specie coltivate per la nostra alimentazione) - si chiede la ricerca -. Potrebbero resistere nei terreni salini ed essere produttive?».
Un’altra task del progetto mira ad analizzare il contenuto e il profilo dei principi chimici della porzione edibile e non delle piante alofite utilizzate, allo scopo di poterle inserire come novel food o come ingredienti nella dieta animale e umana, verificando le loro proprietà benefiche alla salute mediante sia test in vivo che in vitro.
A Roma, il gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza è coordinato proprio da Raffaele Dello Ioio con l’obiettivo di individuare il meccanismo molecolare che inibisce lo sviluppo delle radici quando una pianta si trova in un terreno con elevate presenza di sale. Il gruppo di ricerca si è concentrato su una pianta modello - la Arabidopsis thaliana, meglio conosciuta come Arabetta comune - per comprendere come le condizioni chimiche, fisiche e meccaniche del suolo interferiscano con lo sviluppo della radice alterando di conseguenza lo sviluppo della pianta in toto.
Partire dalle radici
«Rendere le radici tolleranti se non resistenti al sale è fondamentale sia per avere raccolti migliori in condizioni di alte concentrazioni saline nel suolo, sia per poter aumentare la vegetazione in alcune aree diminuendo i fenomeni che causano l’ipersalinizzazione - spiega il ricercatore - La radice è il primo e unico organo della pianta a venire direttamente a contatto con il sale nel suolo. Il sale attiva una serie di circuiti genetici nella radice che si traducono nell’inibizione della crescita di tutta la pianta per portarla il più velocemente a seme. Nel mio gruppo cerchiamo di comprendere quali siano questi circuiti, in quanto la loro comprensione permetterà di rendere le piante resistenti o tolleranti al sale nel suolo».
Intanto, anche l’Università Statale di Milano sta collaborando con il team di Dello Ioio per generare piante di riso resistenti al sale. I primi lavori della ricerca sono stati pubblicati su Communications Biology. «Non abbiamo una precisa data di fine lavori – commenta il ricercatore - poiché vi è molto da scoprire ed è spesso di difficile interpretazione, ma ce la stiamo mettendo tutta per accelerare al massimo i tempi in quanto l’emergenza è ormai tangibile».
Sul tema lavora anche il progetto AI4Soilhealth che per l’Italia vede in prima fila Isinnova al fine di identificare indicatori e proxies legati agli obiettivi stabiliti dalla Soil Health Mission Board.
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