Interventi

Salute e ripresa, dicotomia ingannevole

di Michele Costabile

(REUTERS)

3' di lettura

Un problema mal posto difficilmente conduce a buone decisioni. Soprattutto se il problema è di portata “biblica” e dai contorni ambigui. Mario Draghi chiarisce bene che se molti stanno soffrendo la scomparsa dei loro cari (loss of life) molti di più soffriranno per la loro stessa possibilità di sopravvivere (loss of livelihood). L’Economist ha dedicato alla connessione fra salute ed economia la copertina, concentrando l’attenzione sul trade off fra salute ed economia.

Trade off non significa scambiare salute (vite umane) con soldi (Pil). Gestire un trade off nel tempo significa stimare e sperimentare le migliori combinazioni possibili di fattori fortemente interrelati. Solo in condizioni estreme e contingenti (l’emergenza) si pone il problema “salute contro economia”. In condizioni di risorse rigidamente vincolate e scarse: ambulanze, personale sanitario, Dpi (dispositivi di protenzione individuale), triage dedicati, posti in terapia intensiva, sistemi di telemedicina, farmaci. Tutti vincoli che possono essere allentati, sull’esempio cinese, solo con un lockdown. Senza lockdown il sistema sanitario non cura, senza cura non c’è vita, senza vita non c’è economia.

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Superata questa fase, però, il Pil torna a nutrirsi della salute fisica e mentale degli italiani. E la salute degli italiani a nutrirsi di Pil.

Ed ecco che la gestione del trade off diventa più complessa; riguarda la salute (fisica e mentale) visibile e di breve termine da scambiare con la salute meno visibile di breve, medio e lungo periodo.

Un lockdown lungo e ampio come quello che stiamo vivendo rende probabile, almeno in Italia, un decremento del Pil superiore al 10% annuo. Ed è per questo che il rischio di avere un mortalità superiore nel “post” pandemia rispetto al “durante” aumenta giorno dopo giorno. È urgente ridurre gli inganni di ciò che ci appare o semplicemente conosciamo, pensando che sia la realtà, e predisporre misure adeguate e tempestive. Nulla è prematuro in emergenza.

Sono visibili e drammatici i morti di coronavirus trasportati dalle colonne di mezzi militari. Ma che fine hanno fatto, o faranno, i cardiopatici che per paura del coronavirus non hanno fatto ricorso alle cure mediche in queste settimane? Visibilità e disponibilità dei dati, ovvero modalità di rappresentazione delle misure, rischiano di creare distorsioni gravi. Una depressione economica senza precedenti, come quella che dovremo fronteggiare avrà conseguenze gravi sulla tenuta sociale e, in ultima analisi, sulla salute mentale e fisica degli italiani. Quante persone moriranno nei prossimi 12-24 mesi a ragione di una condizione profondamente depressiva che non consente loro di accedere a cure adeguate e a uno stile di vita salutare? Un numero che crescerà senza che se ne abbia contezza al crescere delle settimane di lockdown generalizzato e, soprattutto, senza una ripresa delle attività adeguatamente progettata, comunicata e sperimentata.

Sono decine di migliaia i bambini che in mancanza della scuola non hanno accesso a un pasto dignitosamente bilanciato al giorno e che in circa il 25% dei casi non possono seguire virtual class (40% al Sud) causa “segregazione digitale”.

E seppure reclamare la priorità della salute rispetto al Pil possa servire a sentirsi eticamente migliori, è il caso di chiarire che potrebbe trattarsi di una illusione molto pericolosa. Perché la presunta chiusura a oltranza in nome della salute uccide il futuro, in cui salute ed economia vivono l’una dell’altra.

Chi, ormai da settimane, invita a progettare per tempo gli articolati processi di uscita dal lockdown non sta declassando la salute. Anzi. Sta ponendo il problema nel quadro che merita, con profondità, ampiezza e lungimiranza.

La ripresa, peraltro, è per definizione molto più complessa della chiusura, con la stessa asimmetria di tempi e risorse che ha la ricostruzione rispetto alla distruzione. Progettare e comunicare i protocolli di ripresa delle attività per tempo e senza le confusioni della chiusura – in parte giustificate dall’emergenza – farà la differenza, per la salute e per l’economia. E benchè sia inevitabile sbagliare ancora – come suggeriva Beckett – si tenti almeno di sbagliare meglio.

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