Salute mentale, con il Covid +30% dei casi ma mille medici in meno. Cosa chiedono gli psichiatri
Dieci società scientifiche lanciano l’allarme. «Problemi a garantire i servizi minimi»
di Nicola Barone
I punti chiave
5' di lettura
La pandemia con il suo carico di restrizioni e angosce mano a mano alleggerisce il suo peso. Ma non gli strascichi di un periodo mai così tanto capace di stravolgere la vita ordinaria di larga parte della popolazione. La sofferenza mentale è cresciuta, così come la domanda di assistenza specialistica, con il paradosso però di un calo progressivo del numero degli psichiatri. Stando ai calcoli fatti in soli due anni, al 2025, se ne conteranno tra pensionamenti e dimissioni mille in meno. Un calo drammatico, se si considera che secondo gli ultimi dati disponibili (2020) gli psichiatri che operano nei Dipartimenti di salute mentale e nelle strutture convenzionate sono 4.412. Dieci società scientifiche lanciano l’allarme e chiedono l’istituzione immediata di un’Agenzia nazionale ad hoc.
«Problemi a garantire i servizi minimi»
Nella sollecitazione ad agire arrivata dal gruppo che comprende diverse sigle - la Società italiana di psichiatria, di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, di Psichiatria delle dipendenze e la Federazione Italiana degli operatori dei Dipartimenti e dei servizi delle dipendenze FeDerSerD - l’Italia è «tra gli ultimi in Europa» per la salute mentale, nonostante un aumento stimato del 30% di diagnosi tra depressione e altre patologie psichiche causato da due anni di pandemia, soprattutto tra giovani e studenti. Si va quindi verso «l’impossibilità di garantire i servizi minimi in un settore in ginocchio già prima».
I mali pregressi dell’assistenza
È incontrovertibile che l’impatto dell’ultimo periodo abbia incontrato un terreno già fragile. «La condizione di difficoltà in cui si trova il settore della salute mentale in Italia è stata ben illustrata già nel 2019 da un’analisi condotta da Fabrizio Starace, presidente della Società italiana di epidemiologia psichiatrica, nella quale era stato esaminato il rapporto tra il fabbisogno assistenziale espresso dall’utenza in carico ai Dipartimenti di salute mentale e la capacità assistenziale necessaria per realizzare tutte le azioni previste da raccomandazioni, linee guida, percorsi e protocolli di cura. Tale analisi aveva mostrato che già prima della pandemia i Dipartimenti di salute mentale erano in grado di rispondere correttamente a poco più del 55% del fabbisogno assistenziale stimato», avverte Angelo Picardi, psichiatra e psicoterapeuta, del Centro scienze comportamentali e salute mentale dell’Istituto superiore di sanità, diretto da Gemma Calamandrei. «Analogamente, un’analisi di Starace e Minguzzi su dati più recenti, relativi al 2020, ha messo in evidenza come la dotazione di personale dei servizi di salute mentale sia del 15% inferiore rispetto a uno standard fissato oltre 20 anni fa dal Progetto obiettivo tutela salute mentale 1998-2000, in un’epoca con bisogni di salute ben diversi rispetto a quelli odierni».
Uno «straordinario investimento ordinario»
A dire degli psichiatri gli psichiatri sarebbero dovuti crescere almeno fino al 5% del fondo sanitario nazionale, per raggiungere l’obiettivo del 10% indicato in sede comunitaria per i Paesi ad alto reddito, «sono invece tracollati dal già misero 3,5% del 2018 al 2,75% del 2020». Forti sono le differenze regionali, a complicare la situazione, e «non si vede, tra le risorse destinate dal Pnrr alla salute - affermano - un solo euro destinato alla salute mentale». Servono quindi, affermano i presidenti Sinpf Matteo Balestrieri e Claudio Mencacci, «innanzitutto un coordinamento tra le Regioni e progetti terapeutico riabilitativi personalizzati». Questo «impoverimento dei servizi pubblici - rileva inoltre Massimo di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria - ormai sotto la soglia della sopravvivenza, fa sì che si riducano anche le possibilità di intervento precoce, mettendo in seria difficoltà le attività di prevenzione, tassello fondamentale per evitare di precipitare nel buio». È insomma urgente un «deciso cambio di passo», aggiunge Starace. Che porti «ad uno straordinario investimento ordinario, che riporti allo standard minimo del 5% la spesa per la salute mentale. Un investimento imponente, a regime pari a 2,3 miliardi in più all’anno, ma dalle dimensioni coerenti con le valutazioni epidemiologiche».
Pnrr, i capitoli nella missione 5
Per quanto concerne il Piano, se è vero che la salute mentale non è esplicitamente menzionata negli investimenti previsti dal Piano, nella missione 5 trovano spazio numerosi capitoli in relazione con le attività di salute mentale sul territorio: il sostegno alle persone vulnerabili e la prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti, il rafforzamento dei servizi sociali per il sostegno alla domiciliarità, i percorsi di autonomia per le persone con disabilità, il sostegno alle capacità genitoriali, alle famiglie e ai bambini in condizioni di vulnerabilità. Per Picardi esistono dunque molte possibilità per la salute mentale di assumere un ruolo di interlocutore privilegiato, attraverso un’opera di sensibilizzazione nei confronti di tutti gli attori coinvolti nelle azioni previste dal Pnrr. «Tutti i più autorevoli documenti internazionali di politica sanitaria, come quello elaborato recentemente dalle nazioni del G20, il Piano di azione per la salute mentale dell’Oms 2013-2030, e l’Agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile per il 2030, identificano la salute mentale come una priorità di salute pubblica». Risulta ora essenziale «che vengano messe in opera azioni concrete che traducano in pratica i principi espressi in questi documenti e portino a un reale e duraturo rafforzamento del nostro sistema di salute mentale».
La proposta di una Agenzia nazionale
Dalle società mediche è arrivato anche un appello per la creazione di una Agenzia nazionale per la salute mentale, accolta favorevolmente da vari esponenti politici. Sebbene l’Italia non abbia una agenzia nazionale dedicata, va ricordato che nel 2019 è stato istituito un Tavolo tecnico sulla salute mentale presso la Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, e che tale organismo tecnico è tuttora attivo, essendo stato nuovamente istituito nel 2021 con decreto della sottosegretaria Sandra Zampa. E allo stesso tempo, malgrado le difficoltà incontrate nel lavoro quotidiano (e non solo nei servizi di salute mentale ma in tutto il sistema sanitario) tanti operatori si adoperano ogni giorno con dedizione ed entusiasmo, assumendosi anche compiti fuori dalle mansioni ordinarie. «Basti pensare che oltre un terzo dei Dipartimenti di salute mentale italiani collaborano generosamente su base volontaria con il Centro scienze comportamentali e salute mentale dell’Iss a una rete sentinella per la rilevazione tempestiva di dati sul funzionamento dei servizi in corso di pandemia», tiene a evidenziare Picardi.
Verso il Global mental health summit a Roma
Alcuni sviluppi da qualche tempo a questa parte suggeriscono che da parte della politica vi siano una maggiore consapevolezza dell’importanza del settore e una maggiore assunzione di responsabilità. Ad esempio, nello scorso settembre l’Italia, su disegno del ministro Roberto Speranza, ha organizzato (prima nazione a farlo) un evento del G20 specificamente dedicato alla salute mentale. E a ottobre l’Italia ospiterà a Roma, presso l’Iss, il Global mental health summit, con l’ambizioso piano di azione tracciato nelle precedenti edizioni svoltesi a Londra, Amsterdam e Parigi. L’obiettivo è di incrementare la consapevolezza e l'impegno in tema di salute mentale sia a livello politico che nella società civile, e di rinforzare l’azione globale da parte dei governi, delle organizzazioni internazionali e della società civile per la promozione di sistemi di salute mentale inclusivi, efficaci e a tutela dei diritti.
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