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Ormai si accettano scommesse. Nella Lega sono sicuri che Salvini farà la crisi ad horas. Nei 5 Stelle, invece, sono sicuri che non succederà nulla e che la marcia indietro è già arrivata con la rinuncia a salire al Quirinale perché quello sarebbe stato davvero il passo ufficiale verso le urne.
Non l’ha fatto – dicono i fedelissimi di Luigi Di Maio – perché avrebbe avuto in mano il cerino della crisi tant’è che perfino al vicepremier grillino era venuto in mente di andare da Sergio Mattarella ma poi si sarebbe fermato proprio per tenersi lontano da qualsiasi responsabilità di accelerare le tensioni.
Dunque, siamo a un passo dalla fine ma ancora in piena tattica. Anche se sul terreno ci sono scontri di sostanza come quello sull’autonomia tra i potenti Governatori del Nord – Luca Zaia e Attilio Fontana – che hanno aperto il fuoco contro il premier dando però l’impressione di voler incoraggiare e spingere Salvini a rompere.
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Nel cerchio stretto del Capitano, dove dicono che nel fine settimana ci si ferma a riflettere, sono due i temi controversi da risolvere. Il primo è come costruire il percorso da qui alla rottura. Perché una cosa è chiara, i 5 Stelle non gli semplificheranno le cose. Chi è molto vicino a Luigi Di Maio racconta che se Salvini romperà, la strada sarà necessariamente quella parlamentare. Nel senso che il premier Giuseppe Conte dovrebbe rimettere il mandato ma chiedendo di essere rinviato alle Camere per avere lì la sfiducia. Questo vuol dire che il leader leghista, davanti agli elettori e al Paese, si dovrebbe assumere la responsabilità di votare contro il premier e il Governo - ma insieme al Pd e Forza Italia - spiegando le ragioni della sfiducia.
Un bel passo se è vero che l’Esecutivo continua ad avere un buon gradimento tra gli italiani. Tra l’altro, racconta sempre chi è vicino ai vertici grillini, i sondaggisti sono concordi sul fatto che la reazione degli elettori nel tornare alle urne e assistere a una campagna elettorale estiva, potrebbe essere di grande insofferenza. Come dire, niente è scontato, nemmeno quel 37-38% su cui ora veleggia il ministro dell’Interno che tra l’altro ha anche la vicenda del Russiagate a sporcargli la corsa verso le elezioni a settembre/ottobre.
Ma il secondo tema che fa riflettere Salvini sono i tempi. Perché o usa la finestra temporale di settembre (22 o 29, al massimo la prima di ottobre) oppure se ne riparla a giugno per votare. La ragione è la legge sul taglio del numero dei parlamentari (345 in meno) che è stata appena approvata in terza lettura e che a settembre avrà il suo passaggio finale alla Camera. Bene, l’iter prevede che dopo il via libera devono passare tre mesi entro i quali si potrà chiedere il referendum, poi c’è la pubblicazione, poi serviranno due mesi per ridisegnare i collegi. Fatti due calcoli si arriva a giugno. Ma i conti veri li dovrà fare con i parlamentari. Chi avrà voglia di andare a votare sapendo che rischia il seggio? Saranno 345 in meno e quindi molti dovrebbero scegliere di auto-eliminarsi. Sono le classiche situazioni che rendono incerta la via delle elezioni anticipate.
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