Salvini al citofono col presunto spacciatore: così si spettacolarizza la gogna
Il leader leghista a Bologna per la campagna elettorale bussa in diretta Facebook: «Scusi, lei spaccia?» È la spettacolarizzazione della presunzione di colpevolezza
di Francesco Prisco
2' di lettura
Abbiamo avuto un’epoca dei telefoni bianchi, chissà se presto avremo pure quella dei citofoni grigi. I presupposti ci sono tutti, a giudicare dall’ultimo derivato della campagna elettorale porta a porta: Matteo Salvini che citofona a una famiglia tunisina della periferia di Bologna con tanto di interrogatorio filodiffuso. «Lei spaccia?», chiede il leader della Lega al suo interlocutore all’ultimo giro di elettorato prima delle Regionali di Emilia Romagna. Il tutto in diretta Facebook.
Lo spettacolo, come colpo d’occhio, ha più o meno un solo precedente: la diretta social dell’arrivo in Italia del terrorista Cesare Battisti. Stavolta siamo in via Grazia Deledda, nel cuore del quartiere popolare del Pilastro a Bologna. Accompagnato da una sua simpatizzante, la scorta e un po’ di personale delle forze dell’ordine, l’ex ministro degli Interni si è prodotto in quello che potremmo definire un esperimento di meta-comunicazione. «Ci può far salire?», chiede il Capitano leghista al citofono. «Perché ci dicono che da lei parte lo spaccio della zona, ce lo han detto i cittadini, è giusto o sbagliato?». La persona dall’altro capo del citofono mette giù, Salvini commenta serafico («Ha attaccato») e scoppia in una risata.
Due considerazioni: una di carattere estetico, l’altra morale. Innanzitutto il citofono che, come «format», si conferma potentissimo. Non scopriamo nulla di nuovo: lo strumento è storicamente telegenico, da Massimo Troisi che viene lasciato a citofono da Francesca Neri in Pensavo fosse amore... invece era un calesse alla Serenata Rap di Jovanotti, dal «C’è Gigi? E la Cremeria?» del vecchio spot dei gelati Motta alle mancate interviste di Striscia la Notizia e Le Iene, programmi Tv al cui stile il leader della Lega sembra spesso ispirarsi. La seconda considerazione è che, in uno stato di diritto fondato sulla presunzione d’innocenza fino a prova contraria, siamo alla spettacolarizzazione della presunzione di colpevolezza. Le prove, queste sconosciute. Del concetto di privacy, non stiamo neanche qui a parlarne. È gogna a favore di fotocamera. Il cinismo dell’operazione potrebbe certo pagare in chiave elettorale, ma ci viene un ultimo dubbio: chissà se il format sarà esportato. Chissà se, per esempio, quando ci saranno le elezioni regionali in Sicilia e Campania Salvini busserà a casa di mafiosi e camorristi. Se poi non vuole aspettare, gli ricordiamo che il 26 gennaio si vota anche in Calabria.
Per approfondire:
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