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Sanità, donne in crescita ma resta il soffitto di cristallo

Le specialità scelte maggiormente dalle professioniste sono ginecologia e pediatria. Sono in crescita, inoltre, tra le nuove generazioni, le iscrizioni a chirurgia generale, plastica, toracica, vascolare.

di Ilaria Potenza

3' di lettura

Più di un medico su due è donna. E se si va sotto i 55 anni, le donne in servizio sono la maggioranza: tra i 40 e i 44 anni sono infatti quasi il doppio dei colleghi uomini. I dati sono stati presentati dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri durante la Giornata internazionale della donna di quest'anno. Su 329.263 medici la percentuale femminile è già oggi al 52% e sembra destinata a crescere. Tra gli over 55 gli uomini sono ancora la maggioranza e la differenza si allarga all'aumentare dell'età.

Le specialità con la più alta rappresentanza femminile

Le specialità scelte maggiormente dalle professioniste sono ginecologia e pediatria. Nella fascia tra i 30 e i 50 anni le anestesiste rianimatrici sono 2.667, a fronte di 1.720 colleghi uomini. Le chirurghe pediatriche, considerando lo stesso range, sono il doppio dei colleghi (120 contro 62).

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Sono in crescita inoltre, tra le nuove generazioni, le iscrizioni a chirurgia generale, plastica, toracica, vascolare, anche se gli uomini sono sempre la maggioranza. Poi ci sono le cardiochirurghe, 136 a fronte di 261 uomini. Se si guarda alla cardiologia invece le professioniste sono 1.622 rispetto a 1.431 dottori. Una vera e propria carica è quella delle geriatre, 1.029 a fronte di 331 colleghi coetanei, delle fisiatre, 898 contro 484 uomini, delle interniste, 1.690 verso 938, delle neuropsichiatre infantili, 777 a 113, delle reumatologhe, 414 rispetto 160.

Anche le oncologhe, tenendo in mente sempre la stessa fascia d'eta, doppiano i colleghi maschi, essendo rispettivamente 769 e 312, e così le infettivologhe, 364 e 155. Specialità a prevalenza maschile restano ortopedia, urologia, neurochirurgia.

Con questi numeri alla mano è evidente che il Servizio sanitario italiano è fortemente rappresentato dalle donne. E per quanto si tratti di un dato ormai noto a tutti i livelli, i modelli organizzativi, gli orari di lavoro e gli stupendi non ne tengono ancora conto. Anche in questo contesto i numeri parlano chiaro.

Si pensi per esempio che il 75% delle assenze per maternità oggi non vengono coperte, come rileva un sondaggio del sindacato Cimo-Fesmed condotto lo scorso anno su un campione di 1.415 dottoresse. Siamo ben lontani insomma dal tenere insieme pari opportunità e diritto alla vita professionale per costruire nuovi contesti lavorativi.

Leadership femminile nelle aziende sanitarie

In questo contesto la leadership femminile potrebbe fare la differenza di certo, ma anche in tal senso siamo lontani da dati incoraggianti. Le donne che ricoprono ruoli di vertice nelle aziende sanitarie o ospedaliere sono poco meno di un terzo. Sono due le regioni in cui il numero di donne che ricoprono un incarico di vertice nelle aziende sanitarie eguaglia o supera il numero di uomini: Toscana e Lazio, rispettivamente con il 52,4% e il 50%.

Altre tre regioni poi superano o raggiungono la soglia del 40%: Emilia-Romagna (45,7), Piemonte (41,2) e Liguria (40). I dati più preoccupanti si registrano invece in Sicilia (16%), Puglia (13%) e Friuli-Venezia Giulia (11,1%). In Valle d'Aosta e Abruzzo infine non si segnalano donne al comando di aziende sanitarie.

Gap salariale

Il gender gap in termini salariale e di riconoscimento dei diritti delle lavoratrici riguarda anche la professione infermieristica, una branca sanitaria caratterizzata da una prevalente presenza femminile. Le donne (347.947 su quasi 460.000 iscritti agli ordini) rappresentano infatti il 76,5% dei professionisti della categoria. A livello europeo l’Italia si classifica ottava, preceduta solo dalla Romania, tra i Paesi più indietro in termini di retribuzione, con un divario salariale del 24% rispetto agli uomini.

In occasione di un’audizione alla Commissione politiche Ue del Senato dello scorso gennaio, Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione delle professioni infermieristiche (Fnopi), una serie di proposte, che vanno dall’innovazione dei contratti di lavoro delle infermiere, per favorire la conciliazione tra vita privata e professionale, all’istituzione di servizi per l’infanzia e l’inserimento negli asili nido anche per le lavoratrici in regime di libera professione.

La Federazione chiede poi di ridurre il divario tra i differenti contratti di lavoro, di abbattere le differenze retributive e di normalizzare il diritto al lavoro part time. Inoltre secondo la Fnpoi i datori di lavoro devono garantire una tutela legale d’ufficio e il supporto economico nei confronti dei professionisti sottoposti a episodi di violenza, che nel caso degli infermieri riguardano per oltre il 75% le donne. Infine Mangiacavalli ha proposto di istituire l’ufficio del garante per i diritti sul lavoro, per tutelare così le donne spesso vittime di discriminazione. Dopotutto il miglioramento della gestione delle aziende sanitarie, perché raggiunga una valida prospettiva di genere, è una questione di welfare.

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