Scelte politiche e consapevolezza storica
Il silenzio sul passato determina opzioni arbitrarie e capricciose che non considerano le forze in gioco e gli interessi in conflitto
di Natalino Irti
3' di lettura
Narrano i biografi che Hippolyte Taine, il grande storico di Les Origines de la France contemporaine, venuto in età di voto se ne astenne, così ragionando: «Sì, per votare dovrei conoscere lo stato della Francia, le sue idee, i suoi costumi, le sue opinioni, il suo avvenire. Perché il vero governo è quello che conosce la civiltà di un popolo». Dubbi e interrogativi, a cui egli dette risposta con la splendida opera, quale si svolge dal ritratto fascinoso dell’antico Regime fino alla Rivoluzione.
Il voto, di cittadini elettori o di parlamentari delle due Camere, quando sia privo di consapevolezza storica, si riduce a gesto indifferente, a scelta fortuita non sorretta da interiore necessità. Rari i gravi problemi, che nascano e tramontino nello spazio d’un mattino; ma assai più numerosi, e decisivi, i problemi giunti all’oggi con il carico del passato. Ciascuna nazione (se ancora questa nobile parola ha un senso) porta con sé il proprio passato, la propria memoria di ore serene o oscure, di vittorie e sconfitte, tracciate nelle pagine del mondo.
Il “carattere” delle nazioni, che non è certo da intendere in senso costrittivo e deterministico, lascia l’orma nei secoli, e ci forma e definisce nella peculiare identità. Si illudeva la tecno-economia, nel suo dominio planetario, di spegnere le identità e di ridurre gli uomini a uno schema omogeneo, utilizzabile in ogni luogo del globo. E così sorse, a modo d’esempio, la figura del “consumatore”, di colui che acquista e, proprio nel suo consumare, distrugge le merci offerte in vendita. Poiché produzione e consumo si tengono insieme in reciprocità di vincolo, e l’una non può stare senza l’altro.
La figura del consumatore – ma pure quella dell’”esperto” – non ha volto né nome. Essa non è definita nella molteplicità di singoli individui, ma nella grigia e oggettiva funzionalità. “Funzione” è la parola che spiega e scioglie ogni problema, e dice la condizione dell’uomo all’interno degli apparati produttivi. Ci torna dentro la risposta di Martin Heidegger nella famosa intervista di Der Spiegel il 23 settembre 1976: «Tutto funziona. Questo è appunto l’inquietante, che funziona e che il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare e che la tecnica strappa e sradica l’uomo sempre più dalla terra».
La uni-formità del funzionare, ossia del dispiegare la propria competenza entro l’apparato tecnico-economico, sopprime le identità di nazioni e individui, o meglio le soffoca e respinge in un oscuro sottosuolo dove si agitano e aggrovigliano in se stesse. E allora non c’è da stupirsi se nel sottosuolo delle identità si aprono squarci e crepe improvvisi, quasi in eruzioni violente. Questi vulcani, chiusi nella corporeità di nazioni e individui, non si spengono mai. E quando riemergono seminano rovine, distruggono vecchi ordini, istituiscono nuove forme di convivenza. Soltanto la storia, la conoscenza critica del passato, può mettere al riparo o consentire un relativo grado di previsione. All’algido cosmo del funzionare – temuto o intuito da Heidegger – può opporsi soltanto la civiltà di un popolo, con suoi antichi usi e linguaggi e istituzioni: quel tessuto storico, di cui andava in cerca il giovane Taine per esprimere il suo primo voto.
L’assenza di storia non rinvigorisce – come forse si crede – la capacità di decisione, quasi che la volontà, libera di ogni peso, possa dispiegarsi nel suo slancio vitale. Sarà scelta arbitraria e capricciosa, fiacca o lacunosa considerazione delle forze in gioco e degli interessi in conflitto. Il silenzio sulla storia, come grava nella quotidianità televisiva, getta gli individui nel più sfrenato occasionalismo, in un vivere alla giornata, che, non conosce il passato, e perciò si nega lo stesso sguardo sul futuro. Non c’è guerra né crisi economica né urto di forze che non abbia bisogno di coscienza storica, del rannodarsi a figure o epoche del passato: il quale “passato”, a ben vedere, passato non è, poiché non passa, non trascorre e scompare, ma resta dentro l’identità degli individui e della nazioni.
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