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Schiaparelli, voluttuosa eleganza per il debutto pret-à-porter

Johnathan Anderson da Loewe percorre una strada vibrante, densa ed elegante. Da Valli armonia di note diverse, mentre Yamamoto si conferma poetico con il suo nero

di Angelo Flaccavento

3' di lettura

Ridurre: non c’è nulla di più corroborante, ed efficace, soprattutto adesso che si tende a confondere, accumulare, distorcere e in definitiva a gettare fumo negli occhi e sguazzare nel superfluo che entusiasma e poi subito rattrista. È il momento di designer inani come i Coperni, di scarso valore estetico - secco e lineare come da scuola francese di maniera - ma capaci di creare momenti virali sul web: l’abito spray la scorsa stagione, i cani elettrici che interagiscono con le modelle adesso - metafora ovvia del rapporto uomo-macchina. La sorpresa è grande ma appiccicaticcia, e dopo dieci minuti si dimentica tutto.

Pochi riescono a ridurre con l’eroica concentrazione, ma anche la morbidezza piena di senso, di Jonathan Anderson, che da Loewe continua a percorrere una strada tutta e solo sua: vibrante, densa, elegante. È ammirevole anche il modo in cui Anderson amalgama in un tutto organico linguaggi diversi per veicolare un messaggio teso e coeso. In mezzo al set della sfilata, un cubo bianco come lo spazio di una galleria, ci stanno a questo giro i cubi di coriandoli compressi dell’artista Lara Favaretto: solidi monolitici fatti pressando e non incollando la carta, quindi sempre sull'orlo del collasso. La stessa tensione si ritrova negli abiti: colonne sostenute solo dalle braccia conserte; drappeggi raccolti da una singola spilla; un lembo di camicia appeso ad una bretella come la tracolla di una borsa. Un istante, e tutto potrebbe cadere. Ancora, controllo e abbandono caratterizzano il continuo oscillare tra a fuoco e fuori fuoco, con le memorie o i fantasmi di cappotti, pellicce e chemisier impressi - alla Martin Margiela, ma anche alla Gerhard Richter - su vestine dal disegno netto. Questo ondeggiare tra gli opposti ha un che di sottilmente erotico, di certo di vivo e sensuale, che entusiasma perchè si libra al di sopra delle quisquilie altrove cosí rilevanti.

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Che dire ad esempio del debutto di Harris Reed da Nina Ricci? Un inutile carnevale il cui unico pregio, se così si puó dire, è trasformare lo Schiaparelli di Daniel Roseberry - il plagio è evidente, quanto vile - in una proposta pop e genderfluid, però nel senso più camp del termine. A proposito di Schiaparelli, la prima sfilata di prêt-à-porter è l'occasione per Roseberry stesso di andare oltre gli abiti concepiti to break the internet o conquistare i red carpet e proporre qualcosa di possibile anche nel quotidiano. L’operazione non sprizza modernità, ed è alquanto letterale negli omaggi ai turbanti di Elsa, ma riesce: ha una sua voluttuosa eleganza, anche sveltezza, e spazia con acume dai tubini scolpiti ai jeans. C’è molto Lacroix e un po' Gaultier, ma dosati alla Roseberry maniera, con quel tanto di ninnoli e borsette per creare desiderio a tutto tondo.

È una armonia di note diverse la collezione di Giambattista Valli. Il guardaroba della Valli girl si espande oltre gli abitini corti e la sera glamour per includere le giacchettine di tweed e i jeans che peró hanno le piume all'orlo ma ancora sono indossati con gli stivali camperos, all'uso paninaro. Nel caleidoscopio, si materializza anche un Valli boy, frivolo e danzante, dal fascino ambiguo. Satoshi Kondo continua ad affrontare il lessico di Issey Miyake con sicura forza autoriale. Nelle sue mani il marchio veleggia spedito attualizzando il lato più energico e muscolare del lavoro di Issey: il senso della geometria e del volume, l'esplorazione dello spazio immaginifico che separa il corpo dal vestito. La collezione è un tour attorno al quadrato, punto di partenza di forme ora scultoree ora smaterializzate in avvolgimenti e sfaldamenti, che funziona meglio quanto piú è grafica, e che si perde un pó nell'eccesso di variazioni.

Victoria Beckham, alla seconda sfilata parigina, spinge l’acceleratore su una edginess invero alquanto incongrua, e fortemente derivativa di tutto il comparto avant-garde che va da Margiela e Bless. La collezione è un collage, a tratti indigesto ma visivamente accattivante, di tailoring affilato e flou contorto con contorno di piume e ciocche di capelli come collane.Yohji Yamamoto, infine, rimane un maestro inveterato. La sua titanica dedizione al nero e alla decostruzione può apparire monotona, ma è invece un flusso di cambiamento inarrestabile, che adesso appare particolarmente fresco, tutto orli corti e sfaldamenti petalosi. Poetico, qui, è sempre l’aggettivo giusto.

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