Schlein ammette la «sconfitta netta». Per il suo Pd il nodo del voto moderato
Alleanze al palo e nodo del profilo politico, per i riformisti dem troppo spostato a sinistra. Meloni soddisfatta guarda già alle europee: continua la luna di miele con il Paese
di Emilia Patta
4' di lettura
«Una sconfitta netta». Alla fine di una interminabile segreteria del Pd, mentre mano a mano arrivano i risultati dei ballottaggi da tutta Italia, Elly Schlein non usa giri di parole. Perché se queste comunali dovevano essere il primo confronto-scontro tra le due leadership femminili della politica italiana, la premier Giorgia Meloni e appunto la neo segretaria del Pd, il verdetto è netto: la sconfitta è tutta della seconda. I ballottaggi nelle grandi città, combattuti ancora una volta a mani nude dai dem vista l’assenza di accordi e financo di endorsement da parte del M5s di Giuseppe Conte, sono infatti una vera e propria debacle: brucia in particolare la perdita di una roccaforte rossa come Ancona. Ma l’emblema della sconfitta è forse in Toscana, dove i candidati dem non riescono a vincere né a Pisa, dove il presidente delle Acli provinciali Paolo Martinelli era appoggiato dal M5s, né a Siena o Massa. Un trend confermato anche dal primo turno nelle Isole, con la netta vittoria al primo turno del centrodestra in città siciliane come Catania e Ragusa.
Uno slogan poco fortunato
Eppure «basta perdere» era lo slogan con cui lo schleiniano Emiliano Fossi aveva conquistato la segreteria regionale in Toscana. Uno slogan poco fortunato, visti i risultati nelle città capoluogo di provincia delle sua regione e visti anche i risultati nella stessa città di Fossi, Campo Bisenzio, 50mila abitanti, un comune alle porte di Firenze da sempre amministrato dal Pd: il vincitore è a sorpresa Andrea Tagliaferri, uomo della Sinistra di Nicola Fratoianni in alleanza con il M5s. «Una riprova che l’originale ha sempre la meglio sulla copia» per i riformisti dem. I quali, c’è da scommettere, daranno battaglia nelle prossime settimane mettendo sotto accusa lo spostamento dell’asse del partito a sinistra.
Il caso Pisa
«Certo è - commenta a caldo un dirigente di Base riformista - che se ti chiudi nel perimetro della sinistra rischi che il centro se lo mangia la destra». Esattamente quello che è accaduto a Pisa, dove il candidato “pacifista” scelto da Pd e M5s non ha convinto per niente i centristi del Terzo Polo: secondo l’analisi dei flussi dell’Istituto Cattaneo molti elettori di Azione e Italia Viva al primo turno hanno votato direttamente il sindaco del centrodestra Michele Conti.
La vittoria a Vicenza
Né consola troppo la neo segretaria dem la vittoria - solitaria e proprio per questo eccezionale - del 33enne Giacomo Possamai a Vicenza, strappata al centrodestra: una candidatura tutta civica, appoggiata anche dal Terzo polo, che ha funzionato anche perché il giovane neosindaco non ha mai voluto Schlein e altri dirigenti nazionali sul palco dei suoi comizi. Una vittoria più “nonostante” che “con”.
Luna di miele già finita?
La luna di miele degli elettori del centrosinistra con Schlein è già finita a tre mesi dalle primarie dem? Presto per dirlo, e va comunque sottolineato che il Pd resta il primo partito nella maggior parte delle grandi città andate al voto. Ma se il Pd gode ancora di una discreta salute nei territori e stando ai sondaggi anche nel Paese (è attorno al 21% quando nella lunga transizione precongressuale aveva toccato il 16%), il vero problema di Schlein è e sarà quello delle alleanze. Almeno fino alle europee del 2024 il leader pentastellato Giuseppe Conte si comporterà più come un avversario che come un possibile alleato, visto che mira a pescare nello stesso bacino elettorale del Pd schlieniano e in più a raccogliere i voti di quel mondi di sinistra variamente “pacifista” e contrario all’invio di armi all’Ucraina. Quanto al Terzo polo, l’alleanza con il Pd appare possibile solo dove non c’è il M5s. Le tre opposizioni, che sommate assieme ancora oggi sarebbero a livello nazionale la maggioranza relativa del Paese, sono di fatto tra loro impermeabili. «Da soli non si vince -ammette Schlein -. Dobbiamo ricostruire un campo alternativo e credibile alla destra».
Il posizionamento politico
Eppure non è solo questione di alchimia politica nella costruzione di alleanze, c’è un problema evidente di posizionamento politico. Se puntare tutto sui temi sociali, sulla lotta al precariato e sui diritti civili può servire nell’immediato a ricompattare l’elettorato dem in vista delle elezioni europee del prossimo anno, quando si voterà con il sistema proporzionale, la strategia non sembra poter funzionare nella prospettiva delle elezioni politiche, che si vincono come nei Comuni convincendo anche gli elettori degli altri e quindi gli elettori moderati.
Nessuna alternativa di governo
La conseguenza, positiva per Meloni e per il centrodestra, è l’assenza - di fatto - di una reale alternativa di governo. Da qui le sobrie parole della premier: «Un risultato che ci incoraggia ad andare avanti e a fare ancora meglio. Abbiamo ottenuto conferme importanti e qualche vittoria che potrebbe definirsi storica come ad Ancona a conferma del fatto che non esistono più le roccaforti e che i cittadini sanno fare le loro scelte valutando i programmi e le persone». Alla coesione della coalizione, il centrodestra stavolta ha unito la capacità di selezionare bene i candidati alle amministrative, una volta prerogativa del centrosinistra. Come fa notare il direttore del Cattaneo Salvatore Vassallo: «C’è una crescente perizia nella scelta delle candidature: in passato hanno fatto errori, come a Roma nel 2021, ma in questo turno hanno scelto tutti candidati validi. E questa capacità deriva dall’infrastruttura organizzativa di FdI, un partito che ha un reticolo magari piccolo ma professionalizzato».Tutti fattori che fanno dire al costituzionalista ed ex parlamentare del Pd Stefano Ceccanti, con una battura amara, che «ora il centrodestra può evitare di cambiare la legge sui ballottaggi nei Comuni: vince lo stesso... I voti si sommano al ballottaggio solo se c’è un orizzonte credibile comune di governo».
Certo è che almeno fino alle europee il governo può stare tranquillo, e c’è da credere che ci sarà un’accelerazione sulle riforme ritenute identitarie come quella del presidenzialismo (ossia l’elezione diretta del premier) sulla quale Meloni ha investito molto. E dopo le europee, se il vento di centrodestra sarà confermato in Italia e in Europa, la sfida sarà quella di conquistare la governance dell’Unione con un’alleanza tra il Ppe e i conservatori, guidati proprio da Meloni.
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