Scoppia la bolla della cannabis in Borsa: in fumo quasi 30 miliardi
Dai massimi raggiunti a settembre dello scorso anno i titoli del settore hanno perso in media il 66% del loro valore ma ora i multipli di Borsa sono tornati a livello fisiologico
di Andrea Franceschi
3' di lettura
La scommessa sul business della cannabis legale è stato una delle grandi novità di questi anni. La liberalizzazione (sia a livello terapeutico sia a livello ricreativo) decisa in questi anni da diversi Stati negli Usa e poi la legalizzazione piena decisa alla fine dello scorso anno dal Canada ha spinto investitori grandi e piccoli in tutto il mondo a scommettere sulle cosiddette “cannastocks”, le società quotate che operano nel settore della cannabis legale che in questi anni hanno si sono quotate in Borsa.
Il boom...
Il problema è che la cannabis mania si è rivelata essere una bolla speculativa, cresciuta a dismisura per tutto il corso del 2018 con guadagni a tripla cifra in vista della legalizzazione varata dal Canada lo scorso anno, e deflagrata dopo che la decisione è stata ufficializzata. Si è verificato in altri termini quello che gli investitori specializzati in gergo definiscono “buy the rumor sell the news” (compra sulle indiscrezioni e vendi quando la notizia è ufficiale). Il mercato cioè ha comprato sull’onda dell’euforia della legalizzazione per poi invertire nettamente la rotta quando il “market mover” si è concretizzato.
...e lo sboom
Il problema è che, trattandosi di una bolla speculativa, l’inversione di rotta messa in atto dal mercato è stata repentina e molto dolorosa. Dai massimi toccati il 19 settembre 2018 l’indice delle “cannastocks” che Il Sole 24Ore ha elaborato usando i prezzi di mercato delle 50 maggiori società del settore ha perso oltre il 66 per cento. In termini di capitalizzazione sono andati in ”fumo” (è proprio il caso di dirlo) quasi 30 miliardi di dollari di capitalizzazione. Ci sono titoli, come Tilray (azienda canadese di cannabis terapeutica quotata al Nasdaq) che a settembre dello scorso anno capitalizzavano quasi 20 miliardi di dollari e, dopo che il titolo ha perso più del 90%, oggi valgono poco più di due. Un altro titolo molto noto, quello della canadese Aurora Cannabis, è passata dal valere oltre otto miliardi di dollari agli attuali 2,7.
Il peso dei risparmiatori retail
Sebbene nell’azionariato delle grandi aziende della cannabis non manchino i grossi investitori istituzionali è anche vero che le partecipazioni di questi soggetti non sono rilevanti in termini percentuali. Chi investe in questi titoli sono soprattutto privati cittadini, una base di investitori che tende a essere più umorale con l’effetto di rendere il titolo più volatile. A differenza di un grande fondo che può permettersi di tenere a lungo una partecipazione anche quando perde i retail, quando vedono che le cose vanno male, vendono col rischio di alimentare il classico effetto gregge.
I multipli di Borsa
Lo storno che si è visto nell’ultimo anno ha in ogni caso contribuito a riportare alla normalità le quotazioni di un settore che trattava a valutazioni fuori mercato. Ai picchi della crisi le “cannastocks” valevano oltre 10 volte il loro patrimonio e ben 64 volte i ricavi. Oggi questi multipli si sono stabilizzati rispettivamente a quota 1,87 e 8,5 volte. Sono numeri a premio rispetto al resto del mercato, come è giusto che sia per un comparto in forte crescita, ma su livelli più ragionevoli che in passato. La quasi totalità delle società quotate che operano nel mercato della cannabis sorte in questi anni sono in perdita come è normale che sia per un business relativamente nuovo come quello della cannabis. Ma il tasso di crescita dei ricavi viaggia intorno al 250% nel caso dei 5 maggiori titoli e le previsioni per il futuro sia delle aziende sia degli analisti del settore sono più che promettenti.
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