Scoprire una nuova dimensione per il palato: in viaggio fra vini, pesce e formaggi
Seguire la voce (e il sapore) della natura attraverso ingredienti e tecniche di lavorazione, in un itinerario dal lago di Garda fino in cima alle Dolomiti
di Barbara Sgarzi
7' di lettura
Dal clima Mediterraneo del Garda alle Dolomiti che qui, a sorpresa, cullano ai loro piedi le vigne. Un viaggio nei sapori del Trentino è un percorso che abbraccia idealmente le materie prime dell'Italia intera, dal pesce di lago condito con l'olio gardesano ai formaggi d'alpeggio. Filo conduttore la natura, come racconta l'incessante ricerca di Alessandro Gilmozzi , chef stellato di El Molin a Cavalese. Il suo menu è una sinfonia di boschi, montagne e torrenti e unisce licheni, resine ed erbe aromatiche colte all'alba. Persino le gocce di rugiada, nascoste nella piccola pasticceria. Gilmozzi, che a Cavalese gestisce anche una pizzeria gourmet, mentre ha ceduto ai fidati Nicolò Zampieron e Manila Mauroni il bistrot, un piano sopra al ristorante, è il primo dei nostri ambasciatori del gusto in terra trentina.
«Parlare di materie prime e territorio sembra quasi troppo facile in una terra così generosa e varia, ma è quella la base della mia ispirazione. Il mio lavoro è prendere un profumo e dargli corpo. La neve, il fieno, i caseifici, l'erba bagnata, tornano nei piatti per un incrocio di sensazioni». Come per il risotto impreziosito da foglie di geranio. O per la palla di neve, una meringa al sambuco e betulla, eterea nell'aspetto e nei sapori. Non è raro imbattersi nello chef mentre raccoglie licheni ed erbe. E insieme a lui potreste incontrare anche Marco Nones, artista e scultore, che cerca resina di abete e radici per creare opere d'arte ambientale. Direttore artistico di RespirArt, uno dei parchi d'arte più alti del mondo; lo ammirate a Pampeago, 2.200 metri sul mare, con 29 installazioni lungo un giro ad anello di tre chilometri.
Non è avara di meraviglie anche l'attigua Val di Cembra, candidata per l'arte dei muretti a secco a patrimonio Unesco. Qui la viticoltura è eroica, le vigne crescono abbarbicate ai monti e la terra va rubata palmo a palmo e trattenuta con le pietre disposte ad arte, che punteggiano i fianchi delle montagne come una bianca collana. Ed è vivace la proposta enoturistica grazie a un gruppo di giovani viticoltori, i Cembrani Doc , che hanno unito le forze organizzando eventi e degustazioni e vendendo le loro bottiglie in un sito condiviso. Ma anche creando due etichette di bianco e rosso dove confluiscono ogni anno i migliori vini di ogni produttore: Riesling e Müller-Thurgau per il bianco, Schiava e Lagrein per il rosso. Il nome, 708 km, richiama la lunghezza totale dei muretti che caratterizzano il territorio. Restrizioni permettendo, sul sito si possono prenotare le visite guidate e le degustazioni (non perdete Villa Corniole , con la sua barricaia e una terrazza che spazia all'infinito sulla valle). Il 31 luglio è tutto pronto per l'annuale celebrazione Baiti en festa, mentre se preferite pensare all'autunno, è già possibile prenotare un posto sui terrazzamenti per partecipare alla prossima vendemmia.
Volete proseguire la degustazione con qualcosa di più forte? Il Trentino è patria di grappe spettacolari e custodisce un'antica tecnica di distillazione. Sempre in Val di Fiemme trovate L'Ones che crea grappe e distillati al cirmolo, un cumino montano e al fieno (possibili le visite al laboratorio). Storica la Distilleria Bertagnolli a Mezzocorona, che esalta i vini della zona: grappa di Teroldego e di Moscato giallo, ad esempio, e una linea di liquori vintage, la 1870, per celebrare la sua lunga vita. Marzadro , a Nogaredo, a fianco alle tipiche grappe con erbe montane, ne produce una particolare versione affinata in anfora e unisce due realtà trentine – la grappa, appunto, e l'olio d'oliva – con Olia del Garda. Olive macerate a freddo nella grappa con cannella, chiodi di garofano e buccia di limone creano un liquore sorprendente, amaro ma fruttato (sul sito si prenotano anche le visite guidate). Se è la grappa che vi ispira, aggiungete una tappa a Santa Massenza, paesino incantato sulle rive dell'omonimo lago, che con i suoi 150 abitanti e cinque distillerie, vanta una densità di alambicchi pressoché unica al mondo.
BOLLICINE DI MONTAGNA Di incomparabile freschezza, croccante come le mele trentine e allo stesso tempo cremoso e rotondo grazie alla maestria dell'affinamento sui lieviti. Il metodo classico Trentodoc si è rapidamente imposto come uno degli sparkling più amati in Italia anche grazie alla forza mediatica di Cantine Ferrari , che ha da poco siglato una partnership di grande visibilità con la Formula 1 e si è posizionata al primo posto nella classifica Global Wine Brand Power Index 2021 di Wine Intelligence. Sono 800 gli ettari dedicati alla Doc Trento, per quattro vitigni – Chardonnay, Pinot Nero, Pinot Bianco, Pinot Meunier – e 57 case spumantistiche parte dell'Istituto Trentodoc che ha messo online un'app gratuita (da scaricare su AppStore e GooglePlay), ricca di consigli, percorsi, abbinamenti e possibilità di visite in cantina. Tra tanta scelta, due suggerimenti: non perdete Cantina Romanese che, da circa dieci anni, sperimenta l'affinamento sul fondo del lago di Levico per il suo spumante Lagorai, Chardonnay in purezza a dosaggio zero. Una chicca di sole 2mila bottiglie all'anno, maturate per due anni nel buio e nel silenzio del lago, per un'evoluzione aromatica più ricca e complessa grazie alle basse temperature dell'acqua. E oltre agli aperitivi in cantina, su prenotazione, per le coppie c'è la gita in barca con calice di bollicine e finger food. Gli sportivi, invece, apprezzeranno particolarmente Moser : una parte della sala degustazione è una mostra dei cimeli di Francesco Moser, recordman dell'ora. Degustare il loro Brut 51,151, prodotto per la prima volta nel 1984 in omaggio al record di Città del Messico, guardando proprio quella bici lì, è un'esperienza da non mancare.
IL FIL ROUGE FRA PIATTI E CALICI «Trentodoc, il primo metodo classico a ottenere la Doc in Italia, è l'espressione più pura della terra che lo produce e trova nel territorio montano un fattore unico e distintivo», spiega Simone Loguercio, sommelier e ambasciatore dello spumante trentino, che lo raccomanda a tutto pasto, ma confessa di adorare un abbinamento inconsueto come quello con la pizza. Lo usa in accompagnamento al menu, ma anche come ingrediente delle sue creazioni Edoardo Fumagalli, chef brianzolo poco più che trentenne che, dall'estate 2019, guida Locanda Margon , il ristorante stellato della famiglia Lunelli, che a pochi chilometri di distanza ha la sua splendida cantina (visite guidate prenotabili su ferraritrento.com). Ad esempio, nell'uovo di montagna marinato per 24 ore con spezie, zucchero e Ferrari Perlé Rosé. Innamorato del Trentino e delle sue materie prime, cerca di valorizzarne tutte le potenzialità: «Amo molto il pesce d'acqua dolce, come il coregone e la trota salmonata e il nostro orto è pronto a fornirmi erbe aromatiche, verdure e fiori edibili per il menu estivo». Nel bellissimo spazio esterno che sarà presumibilmente preso d'assalto, tra le novità saranno servite, ad esempio, bocche di leone ripiene di gel d'agrumi.
Un aperitivo più semplice, guardando le Dolomiti al tramonto? Insieme a un calice di bollicine, qualche scaglia di Trentingrana, il formaggio simbolo della regione insieme al Puzzone di Moena. Prodotto da 16 caseifici delle vallate alpine e prealpine solo con latte di bovine allevate sul territorio, la sua nota distintiva è l'equilibrio; un gusto ricco e delicato dove prevalgono le dolcezze. La versione da provare è la nuova stagionatura a 30 mesi, lanciata lo scorso anno. Molti caseifici sparsi sul territorio offrono anche una visita guidata (info su formaggideltrentino.it ), mentre per l'acquisto potete rivolgervi al Punto Vendita Trentingrana in Val di Non, a Segno di Predaia.
Sempre per i souvenir enogastronomici, lasciate spazio in auto per qualche bottiglia di olio del Garda Trentino Dop. Spiega Luigi Caricato, oleologo e ideatore di Olio Officina: «Gli oli del Garda sono tutti delicati, fini, eleganti, fruttati; quelli trentini, però, sono lievemente più intensi, anche se la cultivar di maggioranza, l'autoctona Casaliva, è la stessa. Troveremo quindi sentori di mandorla e mela bianca, di carciofo, morbidezza al palato, armonia e carattere, per via delle note amare e piccanti più accentuate rispetto agli oli del Garda Bresciano e Garda Orientale. Perfetto a crudo, su linguine con sarde di lago, o sui tranci di lavarello». Fate scorta dall'azienda Madonna delle Vittorie e da Olio Cru .
LARGO AI ROSSI L'escursione termica tra giorno e notte. Un terreno asciutto e drenato, un'altitudine che anni fa poteva sembrare difficile, ma oggi, in epoca di cambiamento climatico, rasenta la perfezione. L'Ora del Garda, il caldo vento pomeridiano che ogni giorno soffia e “asciuga” le viti. Le ragioni dell'eccellenza dei vini di Tenuta San Leonardo sono molte, ma secondo il Marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, amministratore dell'azienda di famiglia sulle orme del padre Carlo, che l'ha creata e indirizzata, il primo segreto è l'artigianalità. «Il nostro vino si fa in vigna, è espressione pura del territorio. Abbiamo ancora le vasche di cemento degli anni Cinquanta, i rimontaggi vengono fatti a mano e siamo stati pionieri della sostenibilità». La presenza di vitigni bordolesi in queste zone – Merlot, Cabernet Sauvignon, il raro Carmenère, oggi noto al gusto internazionale grazie al Cile – va ricercata nell'avo Tullo che, alla fine dell'Ottocento, dai frequenti viaggi come diplomatico non portava souvenir, ma barbatelle di vite da piantare. Che originano ancora oggi il Carmenère in purezza, affinato per due anni in rovere francese, di rara eleganza e infinita longevità, e l'etichetta simbolo San Leonardo, classico taglio bordolese armonico ed elegantissimo, reso unico dalla freschezza del clima dolomitico. Sul sito è possibile prenotare una visita guidata che, oltre alla cantina, spazia tra i giardini, il roseto e il bosco della tenuta.
Sostenibile ben prima che fosse di moda la produzione di Elisabetta Foradori , la “signora del Teroldego” che, con tre dei quattro figli, gestisce l'azienda agricola biodinamica: le vigne, un allevamento di grigie alpine con relativo caseificio e una nuova parte dedicata agli orti, sul monte Baldo. «No, non è stato per moda che ho adottato il biodinamico e tutelato la biodiversità, ma per un'esigenza interiore: non mi ritrovavo nei vini che producevo, cercavo più autenticità nei nostri autoctoni». In particolare il Teroldego, appunto, e la Nosiola, il primo dei quali, nelle espressioni Morei e Sgarzon, fermentato sulle bucce e affinato in anfora. Custode della terra e divulgatrice instancabile di un'economia circolare dove “ogni cosa ha un senso”, racconta i suoi vini come «vitali, misteriosi, come la gente di montagna non si svelano immediatamente, ma hanno bisogno di tempo e ossigeno e cambiano mille volte nel bicchiere» (prenotazioni di visite guidate con degustazioni sul sito).
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