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Scuola, cosa resterà di due mesi di lezioni a distanza. E cosa dovrà cambiare

di Pierangelo Soldavini

Ansa

5' di lettura

Se c'è una certezza di questo lungo periodo di incertezza della scuola è che il rischio di un'assenza totale di un servizio troppo spesso dato per scontato in tempi di normalità ha riportato al centro dell'attenzione il ruolo centrale dell'istruzione per la società intera.

Con tutti i limiti e le carenze del caso, la mancanza di indicazioni e di formazione, tamponata in molte realtà dalla disponibilità e dalla creatività di tanti docenti, le lezioni a distanza hanno permesso in questi due mesi di tenere vivo il senso e il valore della scuola, soprattutto in quelle aree dove più violento è stato l'impatto del coronavirus.

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«La scuola in questa situazione ha rappresentato un punto saldo nell'esperienza di tante famiglie garantendo ai ragazzi una relazione che altrimenti non avrebbero avuto: al di là dell'aspetto didattico, pur importante, poter parlare con qualcuno, poter condividere il dolore e il senso di smarrimento di fronte a questa tragedia è stato di grande sostegno - afferma Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, una delle aree più colpite -. Ci siamo preoccupati molto dell'aspetto fisico, molto meno dello stato d'animo, della solitudine e delle difficoltà. In questo la comunità che ruota attorno alla scuola ha trovato senz'altro un appiglio fondamentale».

Punto di riferimento

Indubbiamente la scuola a distanza ha rappresentato un punto di riferimento per i ragazzi toccati molto da vicino dal dramma dell'epidemia e ha permesso di recuperare quel valore relazionale e sociale che spesso nelle aule fisiche finisce in secondo piano nel corso di rigide lezioni frontali basate sul semplice “sapere”.

In mezzo a questa tragedia «la lezione ha rappresentato un momento per riscoprire il senso del ritrovarsi, dello stare insieme come persone per reagire a un momento sospeso, a una situazione inedita che ci ha del tutto spiazzato, spingendo a metterci in gioco riconfigurando le attività, sulla base di un'alleanza con i genitori, all'insegna di nuove responsabilità e di una creatività indispensabile”, commenta Matteo Lancini, psicologo presidente della fondazione Minotauro nel corso di incontro de “La voce della scuola”, serie di eventi web organizzata da ImparaDigitale, che punta a far parlare i protagonisti di questo momento, ragazzi, docenti, genitori, dirigenti scolastici. Nella puntata di venerdì 24 aprile, trasmessa in streaming sul sito del Sole 24 Ore, interverrà il viceministro all’Istruzione Anna Ascan.

«Mi sono accorto che mi mancava la mia scuola, i miei professori, i miei compagni», ammette con naturalezza Samuele Bertan dell'Iis Marconi di Dalmine.

Docenti senza indicazioni

La tecnologia ha permesso quindi di tenere insieme la realtà del mondo scuola in un momento di emergenza, ma ha allo stesso tempo mostrato i suoi limiti. «Docenti, genitori e ragazzi hanno dovuto fare i conti con carenze infrastrutturali, tecnologiche e di disparità di preparazione dei docenti, evidentemente non ugualmente formati all'uso della tecnologia in chiave didattica. In più sono mancate da parte del ministero indicazioni minime e comuni per tutti su come svolgere la didattica a distanza. Questo ha generato una disuguaglianza non solo tecnologica ma sociale e culturale non solo delle scuole ma anche delle famiglie», commenta Dianora Bardi, presidente del Centro Studi ImparaDigitale.

Il risultato è stata una scuola che non si è arresa, ma che è risultata ancora più frammentata sulla base delle competenze e delle disponibilità di docenti e dirigenti: da chi ha fatto lezioni a distanza sfruttando al meglio lo strumento tecnologico a chi si è limitato a mandare agli studenti semplici pdf di compiti fino a casi estremi (ma non così rari) di classi che non sono state neanche contattate. E di ragazzi che sono stati ignorati perché non potevano connettersi o più semplicemente perché soddisfatti della promessa di una promozione garantita.

«Questa situazione ha creato un gap metodologico importante: la scuola digitale è un'opportunità: la tecnologia dovrebbe rendere tutti uguali e invece ha creato forti ineguaglianze», afferma Barbara Tondini, mamma della zona rossa vicino a Codogno che ha avuto esperienze antitetiche con i suoi due figli, uno al liceo e uno alla media. Il rischio concreto è che alla fine si scarichi l'incombenza di compiti e didattica, aggravati dalla tecnologia, sulle famiglie, ancora più impreparate.


Diritto all'istruzione, appello in rete

«I bambini, tutti i minorenni, e i loro diritti, sono stati ignorati durante tutta la fase emergenziale dalle istituzioni, e presi in considerazione solo dopo vibranti proteste e mobilitazioni»: parte da questo assunto una lettera aperta al ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina di un gruppo di genitori, docenti, educatori, professionisti che in pochi giorni ha raccolto 77mila adesioni in rete.

Una lettera “a una ministra professoressa” che denuncia enormi differenze nella capacità di gestire la didattica distanza, carenza di infrastrutture adeguate e di connessioni domestiche e una disparità nella dotazione di device.

La lettera sottolinea inoltre l'inadeguatezza dimostrata dalla scuola a distanza che finisce per «confermare e approfondire le distanze sociali economiche e culturali» e «le gravi e incontestabili conseguenze prodotte dal venir meno della scuola come luogo materiale di rapporti umani, tra coetanei e tra adulti e ragazzi».

Insomma «la didattica a distanza non può sostituire la scuola, e questo vale per tutti gli ordini e i gradi di istruzione». Ancora di più per i bambini più piccoli, della scuola dell'infanzia e della primaria, che soffrono ancora di più l'assenza di rapporti “fisici”.

Ma la scuola dovrà fare i conti alla ripresa con una situazione che non potrà essere uguale a quella precedente: l'esigenza di mantenere le distanze costringerà il mondo scuola a rinunciare ad aule affollate e a ripensare quindi l'erogazione del servizio. Mentre altri Paesi stanno riaprendo le loro scuole, in Italia si parla ormai di un ritorno in classe a settembre. Ma sul come domina a oggi la massima incertezza.

L'incertezza della riapertura

Per questo tutto il mondo scuola si unisce all'appello della lettera per “fornire un'informazione tempestiva chiara e aggiornata sul lavoro di programmazione del Governo”, pianificando “prima possibile gli accorgimenti per la riapertura di tutte le scuole in sicurezza”.

La richiesta di organizzare la ripresa delle attività scolastiche in presenza almeno a settembre, e anche prima per i più piccoli, si deve contemperare con le esigenze sanitarie.

Serviranno risorse ingenti per riorganizzare spazi e tempi della scuola. Finora il decreto Cura Italia di metà marzo ha stanziato 85 milioni di euro, settimana scorsa è stato annunciato un nuovo Pon da 80 milioni: 165 milioni in totale, di cui 150 per device personali, 10 per Solo 5 sono per la formazione dei docenti. Chiaro che per una riapertura complessiva della scuola serviranno cifre ben più consistenti, soprattutto in formazione dei docenti.

Se è evidente che la scuola a distanza non può rappresentare una soluzione definitiva, questo periodo ha aperto un nuovo squarcio all'utilizzo della tecnologia nella didattica. «Sarà necessario formare i docenti a un modello integrato e innovativo per trasformare il vecchio paradigma della lezione frontale: grazie alla tecnologie i ragazzi assumono una posizione attiva nella formazione del sapere. Poi avremo bisogno di una “biblioteca digitale” in cui poter recuperare strumenti e contenuti per organizzare il proprio lavoro secondo varie modalità», spiega Giovanni Biondi, presidente di Indire, intervenuto in uno degli eventi di “La voce della scuola”. Indire ha registrato in questo periodo olytre 800mila accessi a webinar e corsi sul suo sito, indice di un’evidente “fame” di formazione.

«La scuola ha messo in gioco il proprio ruolo educativo: prima eravamo chiusi in ruoli definiti, oggi siamo tutti coinvolti in una dimensione umana. Ed è la tecnologia che ci ha permesso di mettere in gioco l'umanità», commenta Roberto Maragliano, esperto di didattica digitale e docente presso l'Università di Roma Tre. La scuola oggi si è presa cura di qualcuno, l'ha fatto in modo estemporaneo e frammentato, ma ha recuperato il suo ruolo. Ora è prioritario che la società si prenda cura della scuola stessa.

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