Scuola, nessun diritto alla Dad se è il genitore a essere «fragile». Storie e storture
Dal Miur non arrivano istruzioni. Risultato: ogni istituto fa da sé. La lettera-appello di 6mila famiglie
di Manuela Perrone
4' di lettura
Achille Abbondanza ha 48 anni e soffre di fibrosi polmonare idiopatica, una rara malattia degenerativa del polmone che lo costringe a vivere attaccato all’ossigeno e per la quale esistono terapie, ma non ancora una cura. Ha due figli: uno all’università e uno in terza media. Da settembre sta chiedendo alla scuola del suo secondogenito di poter consentire al bambino di seguire le lezioni da casa. Ma ancora non ci è riuscito, nonostante si sia rivolto anche all’assessore del suo comune in Emilia Romagna. È scivolato in un tunnel di email, colloqui formali e informali, certificati e rimpalli. In sintesi: è finito dritto contro il muro della burocrazia.
L’odissea dei genitori “fragili”
Achille, vicepresidente Firmap (Federazione delle associazioni di pazienti con fibrosi polmonare idiopatica e malattie rare polmonari), è uno dei tanti genitori “fragili” - affetti da malattie rare, tumori, problemi cardiocircolatori e altre condizioni che, come ormai è ampiamente dimostrato, espongono a un rischio elevato di sviluppare forme gravi e letali di Covid-19 - che si vedono negato dalle scuole il diritto alla didattica a distanza per i propri figli. Eppure in alcune di quelle stesse scuole la possibilità di collegarsi online per seguire da casa le lezioni tenute in presenza dai docenti è garantita ai singoli studenti posti in isolamento domiciliare o quarantena. È dunque non solo tecnicamente possibile, ma già in essere. Come mai allora non viene estesa anche agli alunni che convivono con persone che, come ripetono ogni giorno gli esperti, vanno protette in modo particolare dal SarsCov2? Dove sta il “baco”?
Did prevista solo per gli studenti con patologie gravi
Il ministero dell’Istruzione, con ordinanza della ministra Lucia Azzolina datata 9 ottobre, ha previsto l’obbligo di didattica digitale integrata o istruzione domiciliare per gli studenti immunodepressi o con patologie gravi, seppur avvalendosi soltanto del contigente di personale docente disponibile e previa certificazione del pediatra di libera scelta o del medico di medicina generale in raccordo con il Dipartimento di prevenzione territoriale. Ma - come sottolinea Ilaria Vacca dell’Osservatorio Malattie rare - nonostante il Consiglio superiore della pubblica istruzione si fosse espresso favorevolmente (leggi il parere) sull’opportunità di prevedere percorsi di didattica digitale integrata anche quando in condizione di fragilità siano i genitori, «nulla l’ordinanza ha recepito in proposito».
Le segnalazioni delle famiglie
Risultato: «Ci sono arrivate decine di segnalazioni perché molte famiglie si sentono eccessivamente esposte al rischio di contagio e chiedono di poter attivare per i propri figli percorsi di Did», denuncia Vacca. In pochi lo hanno ottenuto, molti ricevono risposte brusche, che suonano così: «Tenete i ragazzi a casa, potete ricorrere all’educazione parentale». Ma l’homeschooling, avverte l’Osservatorio malattie rare, «sebbene sia un diritto, non può essere improvvisata e non può essere la soluzione. Noi ci auguriamo che i dirigenti possano trovare soluzioni nuove a problemi nuovi, in ossequio al dovere delle istituzioni scolastiche, stabilito dall’ordinanza, di favorire il rapporto scuola-famiglia attraverso l’aggiornamento del patto educativo di corresponsabilità». L’articolo 21 del decreto legge Ristori, peraltro, ha stanziato 85 milioni aggiuntivi proprio per potenziare ancora la didattica digitale integrata con l’acquisto di dispositivi e chiavette Usb.
Il fai-da-te degli istituti
In assenza di indicazioni dal Miur, ogni istituto va da sé. «Nella scuola accanto a quella di mio figlio la Ddi è attivata anche per i figli di genitori con fragilità», racconta Abbondanza, che si è visto invece rispondere dal dirigente scolastico di inoltrare istanza all’autorità sanitaria perché autorizzi l’istituto a provvedere. «Io chiedo soltanto che mio figlio possa seguire a distanza, non per sempre, ma finché la situazione resta critica com’è ora. Non meritiamo di poter scegliere un’opzione didattica diversa? È una richiesta così esagerata?». «Vorrei soltanto la possibilità di scegliere: la flessibilità mi sembra doverosa nel mezzo di una pandemia mondiale», gli fa eco Alessandra, che ha due figlie, una in quinta elementare e una in terza media, e un marito affetto da una malattia autoimmune in terapia con immunosoppressori. «Finora non era previsto neppure l’obbligo di tenere le mascherine in classe, ma le mie figlie hanno sempre indossato le Ffp2».
Il tema della libertà di scelta
La libertà di scelta è il mantra del gruppo Facebook “Scuola e sicurezza: scelta libera tra Dad e Dip”, nato perché - afferma una delle amministratrici, Stefania Sambataro - «nel rispetto della libertà di tutti, docenti genitori e studenti in condizioni di fragilità possano scegliere tra Dad e didattica in presenza, per tutelarsi secondo le loro esigenze». Sambataro stigmatizza la situazione che si verrà a creare con il Dpcm firmato il 4 novembre: «Nelle zone rosse ad alto rischio Covid esistono studenti e docenti di serie A, dalla seconda media in poi, che possono usufruire della Dad o della Ddi tutelando la salute propria e delle famiglie, studenti e docenti di serie B dai nidi alla prima media che continuano a giocare a “io speriamo che me la cavo”, e alunni e docenti di serie C che hanno persone fragili in famiglia, per cui questo gioco è una vera e propria roulette russa». Un messaggio da non equivocare: «Non discutiamo l’esigenza di mantenere un presidio in presenza, ma che non sia a ogni costo. La continuità didattica e l’organizzazione sono già stravolte da isolamenti, quarantene, attese dei tamponi spesso molto lunghe. Ci sono famiglie tra noi con nonni diabetici, cardiopatici, compagni con malattie reumatiche autoimmuni, fratelli immunodepressi, mamme con la leucemia. Chiediamo un approccio non ideologico, rispettoso e flessibile».
La lettera-appello di 6mila famiglie
In due occasioni, a fine agosto e a ottobre, i genitori e gli insegnanti del gruppo - in collaborazione con le associazioni dei malati reumatici Anmar e Alomar e con l’associazione italiana diabetici Fand, nonché con il sostegno della Fondazione The Bridge - hanno inviato ai ministri della Salute e dell’Istruzione, Roberto Speranza e Lucia Azzolina, e ai componenti del Comitato tecnico-scientifico una lettera-appello in nome di 6mila famiglie. «Si prenda atto che se un nostro familiare si ammala potrebbe causare dei danni enormemente maggiori rispetto al contagio di una famiglia senza criticità al suo interno», si legge nella missiva, in cui si richiamano gli articoli 3 e 32 della Costituzione e si invoca che sia riconosciuta, «fintanto che permarrà lo stato di emergenza sanitaria, la facoltà di scelta tra Didattica a distanza e Didattica in presenza a tutte quelle famiglie che hanno delle fragilità e che lo chiedono». Perché «la socializzazione si può sempre recuperare, ma una vita umana - fosse solo anche una - no». A oggi nessuno ha mai risposto.
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