Se la cultura è l’anima del paese, l’occupazione culturale merita un rilancio
Salariati atipici e 40% imprenditori di sé stessi: lo status dei lavoratori culturali mappato e analizzato dal libro collettaneo Lavoro culturale e occupazione che mette in luce il mismatch tra formazione, offerta e domanda di lavoro in ambito culturale
di Marilena Pirrelli
7' di lettura
Salariati atipici. È la definizione che la Comunità europea dà ai lavoratori culturali. Il 40% sono imprenditori di sé stessi: salariati ma autonomi con partita Iva o regime forfettario, lavorano in cooperative, orchestre, compagnie teatrali, associazioni, spazi no profit con lavori occasionali, oggi definiti intermittenti come le lucine dell'albero di Natale. Li hanno individuati, mappati, analizzati, nel libro collettaneo «Lavoro culturale e occupazione» a cura di Antonio Taormina (docente di Progettazione e gestione delle attività di Spettacolo presso l'Università Alma Mater di Bologna e di management della cultura e dello spettacolo in diversi master, componente del Consiglio Superiore dello Spettacolo del MiC) per Franco Angeli, fresco di stampa. Il libro – grazie al contributo di diversi autori, tra gli altri, Lucio Argano, Cristina Loglio, Francesco De Biase, Alessandra Carbonaro (in Commissione Cultura della Camera) e Annalisa Cicerchia –, mette in luce alcune contraddizioni del nostro paese: l'Italia è in Europa tra i paesi con il maggior numero di studenti iscritti a corsi di istruzione superiore dell'area culturale e sebbene vantiamo uno dei patrimoni culturali più importante al mondo, ha una media di occupati nel settore inferiore a quella europea. E la pandemia di certo non ha aiutato, ha messo in luce la fragilità del settore, che ha perso il 31% del volume d’affari (ma con picchi del 90% per lo spettacolo e del 38% per le arti figurative secondo il rapporto EY 2021), la criticità e discontinuità dei rapporti di lavoro e della contrattualistica, l'inadeguatezza delle tutele.
Professor Taormina a che punto siamo?
Il progetto del libro, frutto di incontri e confronti tra gli autori, è partito prima ancora del Covid-19 (circostanza che ha ovviamente ampliato l'ambito speculativo) per fare il punto su cosa significa oggi nel nostro paese parlare di lavoro culturale, ma anche sull'occupazione che ne deriva. Una prima considerazione importante da fare: in Italia moltissimi giovani seguono corsi di istruzione superiore nell'area delle discipline culturali, vi è una grande vocazione per la cultura, il che deriva dal nostro portato storico, ma al tempo stesso si registra un mismatch tra offerta e domanda di lavoro.
Perché queste discrasie?
L'occupazione media italiana nella cultura è inferiore a quella europea, i dati Eurostat lo dicono: nel 2020 sul totale occupati la media è del 3,6% in Europa, del 3,5% in Italia. Questi dati rivelano in primo luogo mancati investimenti del passato. Un potenziale per l'occupazione può derivare dalle risorse del Pnrr, dai fondi Next Generation EU. Inoltre, i programmi europei da Horizon a Knowledge and Innovation Community (KIC) - al nuovo bando si può partecipare entro il 24 marzo – intendono formare i nuovi imprenditori della cultura puntando sulle industrie che alimenteranno la prossima generazione di innovatori e creativi in tutta Europa. I programmi europei stanno prestando particolare attenzione al ruolo della cultura nel settennio 2021-2027. In tempi recenti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato che la cultura è l'anima del nostro paese, e rende più rassicuranti le sue prospettive di futuro.
All'Europa è chiaro il ruolo della cultura al nostro governo?
Plausibilmente occorre andare oltre le funzioni di “supporto” (comunque importanti) ad altri settori. La consapevolezza della centralità del ruolo della cultura è sicuramente cresciuta, durante e a seguito della pandemia. La risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2020 Ripresa culturale dell'Europa rileva che la pandemia ha messo in luce il reale valore sociale ed economico dei settori culturali e creativi. Nella risoluzione si evidenzia altresì che il ruolo della cultura è strategico sul piano economico, che la cultura produce occupazione e sviluppo per tutta l'economia, poiché accompagna i processi di cambiamento e favorisce la crescita sociale.
Quali sono i numeri dell'occupazione nel mondo della cultura?
Mi limito ad alcuni dati di carattere generale; il libro «Lavoro culturale e occupazione» propone analisi approfondite sul tema. Secondo i dati Eurostat, nel 2020 gli occupati in ambito culturale nell'EU-27 erano 7,2 milioni, con una flessione del 2,6 % rispetto al 2019, in Italia 791mila (-5,2%), di cui il 42,8% donne, una percentuale leggermente più alta dell'occupazione femminile nell'intera economia (42%), ma inferiore alla media europea (48,1%). Degli occupati solo il 10,2% ha un'età compresa tra 15 e 29 anni, una media più bassa di quella europea pari al 16,4% e di paesi come la Germania dove i giovani occupati sono il 19,3%, o la Francia con il 17,8%.
Poi c'è la formazione di questi lavoratori…
In Italia i lavoratori della cultura con un titolo di studio di istruzione superiore sono il 43%, quasi il doppio rispetto al resto dell'economia, ferma al 23%. Questo conferma che la cultura è un settore ad alta specializzazione, ma dalle analisi svolte negli ultimi anni nell'ambito del Sistema Informativo Excelsior sui fabbisogni formativi delle imprese culturali emerge un eloquente mismatch tra le competenze richieste dal mercato e quelle offerte dai percorsi formativi – il fenomeno è presente anche in altri settori – in quanto cultura e istruzione si muovono con velocità diverse. Il rapido evolversi delle figure professionali si confronta con un sistema dell'istruzione non sempre in grado di cogliere le trasformazioni del mercato del lavoro. Nel libro si rimarca la necessità di formare figure con competenze “ibride”, creative, digitali e manageriali in grado di far fronte alle nuove modalità di produzione, distribuzione e fruizione.
Va sottolineato che l'istruzione superiore può assumere un ruolo molto importante sul versante dell'innovazione culturale: la Nuova agenda per l'istruzione superiore della Commissione europea prefigura per gli istituti di istruzione superiore (nel nostro caso universitaria, del sistema Afam - Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica e ITS – Istituti Tecnici Superiori) una funzione più ampia nello sviluppo locale e forti collegamenti con il mondo imprenditoriale e le istituzioni. Per quanto riguarda la formazione professionale del settore culturale, sarebbe in primo luogo auspicabile un maggiore coordinamento tra lo Stato e le Regioni. Più complessivamente si avverte l'esigenza di linee di intervento maggiormente condivise dai Ministeri della Cultura, del Lavoro e dell'Università e della Ricerca.
Qual è la fotografia oggi?
Le criticità maggiori attengono ai diplomati nel sistema Afam: dopo due anni dal conseguimento del titolo coloro che svolgono un'attività inerenti il percorso formativo sono solo il 20%. Apprendiamo dai dati forniti dall'INPS che nel 2020 gli attori hanno lavorato mediamente 13 giorni, i concertisti e gli orchestrali 38; è da sottolineare che i dati pre-Covid del 2019 non erano di molto superiori. Decisamente migliori si rivelano gli esiti dei laureati nelle discipline culturali, ma predomina l'instabilità. Tutto questo alimenta il multiple job holding, ovvero lo svolgimento contemporaneo di più lavori, e spesso solo uno di questi attiene il campo culturale. È sempre più diffuso nel settore della cultura, e dello spettacolo in particolare, il fenomeno preoccupante dei working poors; in questa fase è necessario affrontare le urgenze riconducibili alla disemployability, in altri termini la difficoltà strutturale di inserimento o reinserimento occupazionale.
Il Covid ha fatto emergere le contraddizioni, sapremo superarle?
La pandemia ha dimostrato, in particolare con riferimento allo spettacolo, l'inadeguatezza delle tutele assistenziali e previdenziali, degli ammortizzatori sociali. Questo ha dato luogo a una rinnovata attenzione da parte della politica, a specifici progetti di legge, a primi interventi migliorativi, come quelli previsti nel decreto “Sostegni bis” del luglio 2021 (non ultimo a favore dei lavoratori autonomi). Ulteriori provvedimenti sono in discussione nelle sedi parlamentari; anche in relazione all'approvazione del Codice dello Spettacolo, si attendono sviluppi significativi nei prossimi mesi. La pandemia ha messo in moto processi fermi da decenni dal punto di vista legislativo.
Nel 2007 il Parlamento europeo ha approvato la Risoluzione sullo Statuto sociale degli artisti, ma la precarietà e il lavoro sottopagato la fanno ancora da padrone nel settore…
Le raccomandazioni della risoluzione sullo Statuto sociale degli artisti sono state in buona parte disattese, e non solo in Itala, dove molti lavoratori della cultura, gli artisti in particolare, vivono una condizione di precarietà e discontinuità. Sono prevalentemente lavoratori autonomi ma vi sono anche lavoratori temporanei e irregolari “invisibili”. Come riporta la risoluzione del Parlamento europeo Ripresa culturale dell'Europa, l'alto numero di lavoratori autonomi in ambito culturale è condiviso a livello europeo, sono più del doppio rispetto al totale dell'economia; nel nostro paese sono il 46%. Molti paesi rilevano criticità consimili alle nostre sul versante degli artisti, ferme restando differenze anche sostanziali in termini di tutele. Per quanto concerne il nuovo ambiente digitale l'impatto occupazionale non è ancora del tutto verificabile. Per i prosumer, ad esempio, professionalità e volontariato sono prossimi e, talvolta, non distinti.
Infatti, il reddito di discontinuità è in discussione presso il legislatore…
Su questo versante si sono fatti molti passi avanti, si pensi in particolare all'introduzione degli strumenti di sostegno economico (SET) previsti dal disegno di legge Delega al Governo e altre disposizioni in materia di spettacolo. Le condizioni del mercato del lavoro culturale nei prossimi anni potrebbero altresì migliorare favorendo la continuità del rapporto di lavoro con provvedimenti ad hoc e investimenti specifici.
Solo di recente si è cominciato ad analizzare scientificamente il settore culturale, a che punto siamo?
Necessitano strumenti di analisi condivisi ai diversi livelli di governo; è necessario misurare impatti e risultati. Durante la pandemia si è constatato quanto sarebbe stato utile disporre di dati certi e condivisi, ad esempio sul numero delle imprese e dei lavoratori.
Sarebbe auspicabile il potenziamento degli osservatori culturali regionali
In essere, l'istituzione di nuovi osservatori laddove assenti, e un loro coordinamento a livello nazionale. Con riferimento al settore spettacolo è stata presentata tempo fa, a firma dell'on. Alessandra Carbonaro, una proposta di legge che va in questa direzione e rappresenta un utile riferimento.
Pnrr e next generation cambieranno il sistema culturale?
Rispetto alla cultura il Pnrr interviene su versanti specifici e non in termini di sistema. Riguardo l'occupazione culturale, la riforma delle politiche attive del lavoro e della formazione contemplata nel Piano, potrà sicuramente influire in maniera positiva.
Prescindendo dal Pnrr, l'occupazione culturale, merita nel nostro paese un reale rilancio.
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