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L’allarme lanciato dall'assessore del Comune di Roma, Gianni Lemmetti sui rischi di dissesto dell'amministrazione ha sollevato interrogativi sui possessori di Boc, Buoni ordinari comunali. Il punto cruciale del Salva Roma è proprio rappresentato dal bond RomeCity per 1,4 miliardi di euro emesso nel 2003, scadenza 2048, tasso fisso 5,345%, con un ammontare di interessi complessivo di 2,2 miliardi, trattato alla Borsa del Lussemburgo. «Dal 2021 il bilancio di Roma inizierà a scricchiolare, poi ci sarà il crollo - ha detto recentemente l’assessore della capitale -. Se non ci sarà un intervento in Parlamento al Decreto Crescita e in particolare alla norma Salva Roma, lo Stato fra tre anni dovrà sopportare il buco della gestione commissariale».
Parole che hanno fatto tremare i sottoscrittori di Boc. Ma quali sono i rischi effettivi di un dissesto e che cosa succederebbe agli investitori se il Comune di Roma dovesse fallire? In realtà i titolari di emissioni di titoli di debito delle amministrazioni hanno una normativa diversa rispetto ai sottoscrittori di titoli governativi oppure di corporate bond: in primo luogo, qualora il Comune dovesse fallire e quindi venisse dichiarato il dissesto, i Boc non rientrerebbero nella massa passiva della gestione commissariale in quanto assistiti dalla delegazione di pagamento, come prevede l'art. 255 c. 10 del Testo Unico Enti Locali. La delegazione di pagamento è obbligatoria e viene rilasciata in sede di emissione dei bond.
Quindi anche in caso di fallimento, il rimborso imbocca una corsia preferenziale e il tesoriere dell’amministrazione comunale è tenuto a versare ai possessori dei titoli alle scadenze previste dal piano di ammortamento le quote dovute. «Il Boc è di fatto “iper garantito” - spiega Emanuele Padovani docente di Economia Aziendale all'Università di Bologna -. A mia conoscenza, non esistono casi di mancati pagamenti da parte delle amministrazioni comunali ai possessori dei titoli».
Il Boc del comune di Roma in realtà rappresenta soltanto una parte dei 12 miliardi di euro di debiti dell’amministrazione, solo in minima parte diminuiti attraverso la gestione commissariale. Dei 12 miliardi, nove miliardi di euro sono di finanziamento (tra cui 1,4 miliardi di euro del bond) e i restanti 3 miliardi sono debiti commerciali (molti dei quali apparentemente inesistenti).
Il braccio di ferro tra 5 Stelle e Lega verteva su questo punto: se accollare tali debiti allo Stato oppure allo stesso Comune. Alla fine si è deciso per la seconda ipotesi. «E' ovvio che in sede di rinegoziazione del debito, il trasferimento allo Stato del Boc avrebbe consentito di spuntare un tasso di interesse migliore poiché, agli occhi degli investitori, lo Stato italiano è più solvibile del Comune di Roma», aggiunge Padovani.
Tuttavia, Roma non è un comune uguale agli altri: «Nella pratica alle amministrazioni comunali delle capitali è generalmente riconosciuta una propria specificità. Quindi, difficilmente il comune di Roma cadrà in dissesto, anche perché ciò costituirebbe una forte fonte di disturbo per i mercati finanziari che qualsiasi ministro dell’Economia e Finanze vorrebbe ben evitare», aggiunge Padovani.
In uno studio condotto insieme a Marzotto holding Investment House in cui si analizzano 1305 bond delle amministrazioni italiane (1102 emessi da amministrazioni comunali e 203 dalle province), emerge che l’investitore con un Boc ampiamente garantito, riconosce un premio al rischio in funzione di caratteristiche specifiche del comune. Tra queste, la dimensione dell’amministrazione (più è piccolo il Comune e maggiore è il rischio di dissesto), il reddito pro capite dei residenti, la dipendenza finanziaria da altri enti, ossia quanto più alti sono i trasferimenti da altri enti (specie Stato e regioni), senza dimenticare il grado di infiltrazione mafiosa (calcolato a livello provinciale come rapporto fra numero di comuni sciolti per infiltrazione mafiosa e numero di comuni complessivo).
Benché le emissioni obbligazionarie degli enti pubblici siano completamente sparite dopo la crisi finanziaria e le ultime risalgano al 2005, tuttavia ancora oggi sono in grado di garantire rendimenti sopra il 5% ben oltre la media del mercato: secondo lo studio, questi strumenti di finanziamento potrebbero tornare ad interessare le amministrazioni qualora il costo del debito italiano dovesse migliorare.
Nel caso di un’emissione obbligazionaria a tasso fisso con una durata di 25 anni, si può stimare il risparmio che un comune “virtuoso” otterrebbe rispetto ad un comune relativamente meno “solido” qualora decidesse di ricorrere all'emissione di nuovo debito. Mettendo a confronto i tassi swap con il rendimento dell’obbligazione, per esempio, da un parallelo tra il comune di Lecce con quello di Piacenza risulta che il primo pagherebbe circa l'1,1% in più rispetto al comune emiliano per l'emissione di nuovo debito; confrontando invece comuni di dimensione elevata come Milano e Roma, il comune lombardo pagherebbe circa lo 0,30% in meno.
Tenendo conto delle formule elevate di garanzie dei Boc, lo studio conclude che l’investitore potrebbe trarre particolare beneficio investendo presso quegli enti meno virtuosi finanziariamente e che quindi riconoscono tassi di interesse più elevati , come ad esempio il comune di Roma, che in un contesto di tassi bassi come è l'attuale, potrebbero riportare un rendimento superiore alla media di mercato. Tuttavia «l’extra-rendimento - conclude Padovani - potrebbe rappresentare il premio per il rischio di situazioni di difficoltà che, in considerazione di vicende politiche di più alto livello, potrebbero richiedere tempo e rilevarsi differenti rispetto a teoria e passate esperienze».
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