Se la Fed fa la sfinge l’incertezza cresce (e Wall Street brinda)
di Donato Masciandaro
3' di lettura
La Federal Reserve non decide e non spiega: eppure, è una sfinge che piace molto ai mercati finanziari. Perché, al di là di dichiarazioni isolate o di forma, finché prevarrà l’eccesso di liquidità, Wall Street continuerà a sorridere, magari solo con gli occhi.
Nessuno conosce qual è l’obiettivo inflazionistico della politica monetaria americana. Dal mese di agosto 2020 la Fed assomiglia a una nave di cui non si conosce il porto d’arrivo. Fu allora che il presidente Jerome Powell annunziò che la Fed avrebbe sostituito l’obiettivo inflazionistico del 2% con un target espresso in termini di inflazione media. Da quel momento, fine delle informazioni. Eppure tutta l’analisi economica ci dice che la Fed dovrebbe comportarsi esattamente al contrario. Quando si sceglie come obiettivo l’inflazione media, la banca centrale dovrebbe rispondere ad almeno tre domande:
1 Quale è l’arco temporale rispetto al quale viene calcolata la media?
2 Dato l’arco temporale, la media sarà semplice o poderata?
3 Poiché tale metodo consente all’inflazione annuale di oscillare, le oscillazioni consentite saranno simmetriche o no?
Sono tre domande fondamentali, perché la scelta della Fed rappresenta un radicale cambio di paradigma. Avere come obiettivo una inflazione media significa che la banca centrale guarda “nello specchietto retrovisore”. Quindi se, come è accaduto negli ultimi anni, l’inflazione effettiva è stata sistematicamente inferiore al 2%, è automatico attendersi che l’inflazione negli anni successivi dovrà essere sistematicamente superiore. Ma di quanto, e per quanto tempo? Senza tali risposte, l’annunzio della Fed rischia di essere un boomerang, perché inietta incertezza nelle aspettative. Ma aumentare l’incertezza è esattamente quello che si vuole evitare con la politica degli annunzi, che deve invece aumentare la trasparenza.
Va sempre ricordato che la Fed è una banca centrale che non può permettersi di avere una politica monetaria non trasparente, visto che già parte come una anatra zoppa. Nel 2001 – vent’anni fa – uno studio sulla comunicazione della Fed ne sottolineava l’inefficacia, avendo già come handicap l’avere un mandato con tre finalità: stabilità dei prezzi, massima occupazione, moderazione dei tassi di interesse. Lo studio aggiungeva che l’opacità del presidente della Fed dell’epoca – Alan Greenspan – peggiorava la situazione. D’altra parte, si concludeva, i mercati finanziari sembrano considerare Greenspan «infallibile e immortale», quindi è impossibile che ci sia un cambio di rotta. Dal 2008, tutti noi sappiamo ora quanto infallibile fosse Greenspan, inclusa la sua politica, generosamente battezzata «della ambiguità costruttiva».
Ma, nonostante la Grande crisi e il susseguirsi sulla poltrona della Fed di altri tre nocchieri – Ben Bernanke, Janet Yellen ed ora Powell – l’opacità della politica monetaria continua a essere un tratto endemico della strategia della Fed. La ragione è semplice: se i banchieri centrali si muovono in maniera opportunistica, l’opacità può essere molto conveniente. È quello che sta accadendo oggi. La rotta della Fed – espansione monetaria straordinaria – non si cambia.
L’analisi monetaria più recente ci spiega che l’inerzia è conveniente per almeno tre ragioni. Innanzitutto, non decidere consente di aspettare nuove informazioni. In secondo luogo, non decidere rende più facile raggiungere il consenso. In terzo luogo, il costo personale di sbagliare, cambiando, può essere molto più alto di quello di non far nulla. Oggi i banchieri centrali della Fed preferiscono sbagliare nel ritardare una normalizzazione monetaria, piuttosto che anticiparla. Aggiungiamo, per chi non se ne fosse accorto, che Powell è entrato nel suo semestre bianco, con tutto quello che ne consegue in termini di sua convenienza a posticipare la normalizzazione. Quindi falchi e colombe si trasformano in piccioni, immobili. E Wall Street? Date da bere a un alcolizzato; lui, purtroppo, sarà sempre felice.
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