Se l’eros non sposa la Dad
La didattica a distanza è il nemico numero uno della scuola italiana, il bersaglio polemico di ogni dibattito che favoleggi l'erotica dell'insegnamento e l'irrinunciabile efficacia dell'interazione viva tra docente e allievo. Eppure le nostre aule non assomigliano neanche vagamente a un'Accademia platonica o ai ginnasi di Atene, e non sono state rovinate dal computer, ma da decenni di riforme scriteriate. D'altronde anche gli antichi, da Seneca a Cicerone, impartivano lezioni “in assenza”. E chissà di che cosa sarebbero stati capaci se avessero avuto Zoom o Teams
di Giorgio Ieranò
4' di lettura
(Un passo indietro anzi un passo avanti: in questo momento sappiamo che il 14 settembre 2020 la scuola ripartirà. L'ha confermato la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, il 28 luglio, intervenendo alla Camera. Restano tuttavia molte incertezze sull'organizzazione. La “certezza” è che «per evitare assembramenti e cercare di ridurre le possibilità di contagio, i presidi devono fare i conti con la riorganizzazione di orari, spazi, lezioni e personale». E che «solo per la ripartenza di settembre abbiamo previsto 2,9 miliardi di euro», ha detto il ministro. La questione più rilevante riguarda la riorganizzazione degli spazi: è probabile uno “sdoppiamento” delle classi, tanto che lezioni potrebbero tenersi in strutture extrascolastiche, come teatri, cinema, palazzetti e altri edifici. Anche se «nella riprogettazione di spazi e ambienti educativi dovranno essere seguite alcune accortezze educative, come la stabilità dei gruppi», in modo che «i bambini frequentino, per il tempo previsto di presenza, con gli stessi educatori, insegnanti e collaboratori di riferimento», ha precisato Azzolina. I ragazzi dovranno indossare la mascherina e potranno toglierla quando sono seduti. All'ingresso delle scuole ci saranno dispenser con i disinfettati. I test sierologici saranno fatti sul personale scolastico. Non è ancora chiaro però cosa accadrà in caso di positività di un alunno).
Finalmente abbiamo scoperto il nemico della scuola italiana: si chiama Dad. Che, in inglese, significa “papà”, ma è anche l'acronimo di Didattica a distanza. Se ne parla molto in queste settimane. Ne parlano insegnanti, genitori, studenti. Ma anche intellettuali che, magari, l'ultima volta che sono stati in un'aula scolastica portavano ancora i calzoni corti. Non poter mandare i figli a scuola è stato un problema serio per tante famiglie. Far lezione attraverso un computer è stata una sfida per i docenti. Ma a molti la didattica a distanza è apparsa soprattutto come il fantasma sinistro di un'educazione ridotta, d'ora in poi, a collegamenti video.
Uno spettro che minaccia di far perdere per sempre la bellezza delle lezioni assorbite dalla viva voce di un maestro e l'esperienza comunitaria della classe. In verità, nessuno ha mai proposto di sostituire la didattica in presenza con quella a distanza. È che nelle classi non ci si poteva proprio entrare, perché si rischiavano la vita e la salute. L'alternativa era che non ci fosse alcuna didattica, né da vicino né da lontano, e che gli studenti andassero a zappare. Ma nelle polemiche giornalistico-culturali funziona così: ci si inventa un idolo polemico, in questo caso il perfido complotto per sostituire il maestro con un computer.
E poi ci si scaglia contro quell'idolo, magari collegandosi (a distanza) con il solito talk-show della sera. Così abbiamo letto paginate sull'erotica dell'insegnamento, sulla bellezza dei gesti e degli sguardi dei docenti. Tutte cose meravigliose, per carità. Ma non è che la scuola prima del Covid fosse proprio il trionfo dell'eros. Era, ed è, una scuola messa in ginocchio non da Zoom, ma da decenni di riforme scriteriate. Non è così facile per i nostri docenti, tra i meno pagati d'Europa, vittime della burocrazia ministeriale e talvolta costretti a fronteggiare genitori bulli, essere erotici in una classe pollaio, dove magari l'intonaco si sbriciola sulla testa degli studenti.
Ma, poiché il passato è sempre più roseo, e viviamo tempi duri, favoleggiamo pure su una scuola che era come l'Accademia di Platone ed è stata rovinata dal computer. Poi, a settembre, si spera, si tornerà comunque in classe. Chi lo desidera potrà distruggere il suo iPad a martellate. Ritroveremo, ha detto qualcuno, una tradizione di insegnamento che “dura da più di due millenni e mezzo”. Anche se sostenere che si insegni allo stesso modo da 2.500 anni ci pare un po' azzardato. Tra il dialogo socratico, i precettori del Settecento e i licei di oggi forse qualcosa è cambiato.
La scuola non è più la stessa di trent'anni fa, figuriamoci se assomiglia ai ginnasi di Atene. Però, si obietterà, la presenza viva, l'erotica dell'insegnamento, l'interazione fisico-emotiva tra docente e discente, quelle ci sono sempre state. In effetti, per Socrate il sapere poteva essere trasmesso solo a voce, attraverso il dialogos. E Platone ribadiva che soltanto con un colloquio vivo, e non tramite l'aridità impersonale della pagina scritta, si arrivava a una reale conoscenza. Anche se, poi, lo affermava per iscritto, per esempio nella Settima lettera, dove si rivolge, a distanza, ai suoi discepoli siracusani.
Anche Seneca, in fondo, faceva didattica a distanza, quando scriveva le sue Lettere a Lucilio. L'epistola, aveva detto Cicerone, è un «colloquio tra amici assenti» («colloquium amicorum absentium»). Seneca aggiungeva che le lettere, rispetto alle imagines degli amici, danno un maggior senso di vicinanza, poiché recano «una traccia autentica» («vera vestigia») di chi è lontano. San Girolamo, citando il comico Turpilio, sosteneva che la lettera «rende presenti gli assenti».
Oggi potremmo dire che un collegamento video ci fa sentire vicini più di una lettera, perché ci fa vedere anche la faccia di chi è lontano. E non osiamo immaginare cosa sarebbero stati capaci di fare gli antichi se avessero avuto Zoom. Poi, certo, anche Seneca faceva didattica in presenza, essendo stato a lungo precettore di Nerone. Ma sarebbe stato meglio (per lui) se si fosse tenuto a distanza.
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