Se l’IA sostiene la produttività
Nel corso della storia ad alimentare la crescita economica hanno contribuito l’espansione del numero dei lavoratori e l’aumento del loro rendimento sostenuto dai progressi della tecnologia.
di Piero Formica
3' di lettura
Nel corso della storia ad alimentare la crescita economica hanno contribuito l’espansione del numero dei lavoratori e l’aumento del loro rendimento sostenuto dai progressi della tecnologia. Energia elettrica, elettrificazione delle fabbriche, reti telegrafiche, telefoni, ferrovie, approvvigionamento di gas e acqua, sistemi fognari, trasmissione di dati sotto forma di onda (tecnologia analogica) hanno scandito il tempo di grandi trasformazioni economiche e sociali. Hanno impresso un’accelerazione alla produttività dal 1995 al 2004 le tecnologie informatiche e di comunicazione digitali (trasmissione di dati in forma binaria – i’ bit’). A fronte di una produttività debole nonostante l’accelerazione del cambiamento tecnologico persistente, nel futuro sarà l’intelligenza artificiale a determinare la velocità di corsa della produttività? Tanti sono in attesa di Godot, cioè dello sviluppo e delle applicazioni dell’IA generativa che facendo impennare la produttività cambierebbe sostanzialmente lo scenario. Nel frattempo, aspettando l’arrivo del mitico personaggio del drammaturgo irlandese Samuel Beckett, divampa il dibattito sulle variegate verità dell’IA.
È di color rosa il sostenere che a lievitare la produttività intervengono modelli di IA operanti come macchine probabilistiche. Più dati si aggiungono, meglio e in tempi più rapidi si risolverebbero i problemi che ostacolano le prestazioni dei lavoratori. Suscita disagevoli chicanes interpretative l’argomentare che i dati da soli non bastano; non si può fare a meno del ragionamento umano. Per giunta, se l’IA è alimentata da dati ma è priva di pensiero, i suoi contenuti potrebbero inquinare le fonti dei dati da cui attingere nel futuro.
È forte l’enfasi posta sull’IA creatrice di servizi del tutto innovativi. Si controbatte che non basta generare e diffondere tali servizi. A contare è la loro utilizzazione per trasformare i modi di produzione e realizzare prodotti completamente nuovi: ciò che accadde con l’elettrificazione e i prodotti conseguenti, quali gli elettrodomestici. Inoltre, anziché rispondere alle esigenze degli utilizzatori, i servizi innovativi potrebbero essere addestrati da appositi algoritmi a soddisfare gli interessi dei loro proprietari che così disporrebbero di un potere di comando sui destinatari. Il pericolo di istituire una classe di vassalli è stato evidenziato per i servizi di cloud.
Il passaggio dai servizi mercificati di cui si diventa schiavi (si pensi ai giochi digitali e ai social media) ai servizi personalizzati di qualità tale da produrre esperienze piacevoli richiede cultura generatrice di modalità alternative di fruizione dei servizi e sufficiente potere di acquisto. Dal lato dell’offerta di servizi, sono i cambiamenti organizzativi a permettere di cogliere i vantaggi potenziali attribuiti all’IA e, più in generale, alle nuove tecnologie. In cima ai cambiamenti sta l’attenzione prestata alla relazione tra chi domanda e chi offre un servizio. È la profondità e la qualità delle connessioni umane a fare la differenza. Il caso più evidente è il servizio per star bene. Con l’accento posto sulla relazione, la cura della malattia lascia il passo alla cura della salute. Automatizzando le attività di servizio più banali e dispendiose in termini di tempo, il personale potrebbe passare dai gradini bassi a quelli alti della scala culturale e professionale. Alle badanti che assistono i malati subentrerebbero i costruttori di relazioni per il ben-essere personale e ambientale. L’IA si porrà al servizio della loro sostenibilità? Ciò potrebbe accadere se il ruolo dell’IA non fosse solo l’ottimizzazione dei servizi di assistenza esistenti bensì il potenziamento delle capacità relazionali delle persone.
I servizi digitali legati ai sistemi di intelligenza artificiale e alle tecnologie correlate, come l’IoT, il 5G e la robotica, dispongono di un mercato nel settore dei combustibili fossili stimato in crescita nell’ordine del 500%. Ricorrendo a quei servizi, i produttori di petrolio risparmierebbero circa 150 miliardi di dollari all’anno. Ai minori costi corrisponderebbe una maggiore estrazione di carbone, gas e petrolio. I conseguenti stress ambientali si impatterebbero negativamente sulla produttività.
I seguaci della globalizzazione affermano che, pur rallentando gli scambi internazionali di beni, il potenziale del commercio di servizi abilitato dalla tecnologia rimane enorme. Il ruolo che dal 1870 in avanti ebbero le linee ferroviarie e telegrafiche nell’espansione senza precedenti della circolazione delle persone e delle merci, oggi quel compito spetta ai servizi che cambiano il volto della globalizzazione. C’è però da considerare che un numero in aumento di servizi scambiati internazionalmente interessa settori strategicamente sensibili. Non volendo un paese soggiacere agli andamenti della politica estera che si impattano sui servizi, la liberalizzazione commerciale di tipo purista è messa alle corde. Le conseguenze sulla produttività sono soggette a disparate valutazioni.
piero.formica@gmail.com
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