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Se l’inclusione allarga i propri orizzonti

La parola “inclusione” è stata declinata in modi diversi nel corso del tempo ed è stata usata nelle politiche pubbliche con varie sfumature

di Emiliana De Blasio

(Robert Kneschke - stock.adobe.com)

3' di lettura

La parola “inclusione” è stata declinata in modi diversi nel corso del tempo ed è stata usata nelle politiche pubbliche con varie sfumature. Dagli anni Sessanta agli anni Novanta, essa è stata usata soprattutto in connessione con la scuola, soprattutto quella dell’obbligo; inclusione ha significato per lo più “inclusione scolastica”, nella doppia accezione di lotta all’abbandono e creazione di condizioni favorevoli alla scolarizzazione di massa. Una prospettiva socialmente significativa che ha, peraltro, favorito l’adozione di politiche pubbliche che hanno promosso – almeno in parte – la crescita della frequenza scolastica e, nel tempo, anche della scolarizzazione. Non è un caso che proprio nell’ambito della scuola (e delle politiche su di essa) si sia sviluppata anche l’idea del “sostegno”, uno strumento anch’esso di inclusione e che, superata una prima fase ingenuamente assistenzialistica, ha rappresentato uno straordinario supporto allo sviluppo delle relazioni fra i saperi scolastici e le diverse abilità che li attraversano.

Più recente, invece, è la presa di coscienza della connessione fra inclusione scolastica e inclusione sociale; più recente da parte della politica, s’intende, perché molte voci si erano già levate per mettere nell’agenda sociale un significato più ampio del concetto
di inclusione, fra cui spicca sicuramente quella – a lungo
inascoltata – di don Lorenzo Milani (di cui proprio quest’anno ricorre il centenario della nascita).

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La nuova idea di inclusione ha perduto la dimensione top-down tipica di una visione paternalistica del passato ed è chiaramente definita nei 17 obiettivi dell’Onu (l’agenda 2030) che – pur nella diversità dei percorsi – presentano un evidente denominatore comune, rintracciabile proprio nella prospettiva dell’inclusione sociale. Ed è dentro tale prospettiva che si collocano, così, sia l’inclusione culturale in senso ampio sia quella scolastica in senso proprio sia, infine, tutte quelle misure che mirano a ridurre le diseguaglianze e favorire lo sviluppo dei diritti universali.

L’inclusione sociale è così diventata un obiettivo trasversale,
che attraversa l’impegno per un’istruzione di qualità,
le politiche di eguaglianza e le strategie per una crescita economica che tuteli un lavoro dignitoso.

L’impegno per l’inclusione sociale è presente anche nell’ordinamento universitario: non solo nelle misure integrative e dispensative per le persone con bisogni educativi speciali (Bes), di cui i disturbi specifici di apprendimento (Dsa) costituiscono un sottogruppo; ma anche nelle tante politiche a favore di una vera e propria cultura dell’inclusione. Una cultura che non si rivolge solo a persone con bisogni educativi specifici o a categorie a rischio (rifugiati e rifugiate, soggetti vulnerabili e così via) ma riguarda un modo peculiare di stabilire meccanismi relazionali, professionali e di studio. Non è un caso che, in questa direzione, si collochi anche l’adozione di un linguaggio inclusivo come parte efficiente per la creazione di un più generale “contesto inclusivo”. Proprio in questa prospettiva si muove anche la ricerca sociale, come quella promossa dall’Osservatorio su Gender, Inclusione e Diversità (Ogid) della Luiss. L’inclusione, così, diventa oggetto della ricerca accademica ma anche e soprattutto il senso che accompagna percorsi di studio e proposte per politiche attive e sostenibili.

Ovviamente molto resta ancora da fare, nonostante la spinta proveniente da dispositivi normativi e politiche di indirizzo, generali e dei singoli atenei. Le politiche per la didattica inclusiva – così come quelle, in altra prospettiva, per l’eguaglianza di genere (i cosiddetti Gep, Gender Equality Plan) – rappresentano passi importanti ma ancora non sufficienti. Tuttavia, è estremamente importante che il tema dell’inclusione sia presente al tempo stesso come cornice di significato e come contenuto, e non solo come una buona pratica. La scommessa del futuro è quella di trasformare le università in spazi realmente inclusivi.

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