ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùParadossi del lavoro

Se l’inclusione in azienda rischia di escludere ancor di più

Come si può esprimere un’opinione senza dire qualcosa che potrebbe essere equivocato? Il rischio di costruire ambienti aziendali pieni di censure

di Lorenzo Cavalieri *

Business people in a meeting

4' di lettura

Nei percorsi di coaching si ha la fortuna di potersi confrontare in modalità “confessione”, perché il manager ti racconta il suo punto di vista sul lavoro senza timori o remore particolari. Sempre più spesso mi capita di ascoltare questo tipo di lamentela: “La regola più importante per muoversi bene in azienda è non dire mai la verità.” Solitamente accolgo con una risata quella che mi sembra una battuta ma puntualmente arriva la precisazione: “Guarda che non scherzo. Qui dentro se vuoi essere tranquillo o se vuoi fare la carriera devi imparare in molti casi a non dire la verità o quantomeno a non dire ciò che pensi.”

Siamo portati ad associare questo tipo di scenario alla politica, luogo degli infingimenti per antonomasia (da cui l’espressione “politicamente corretto”), ma il mondo delle aziende non è da meno. Del resto, se ci riflettiamo, la limitazione alla nostra libertà di espressione è connaturata a qualsiasi organizzazione umana. Non tutto si può dire e non sempre si può parlare chiaro per gli stessi motivi per cui spesso decidiamo di tacere anche in casa, in famiglia: non urtare la suscettibilità del prossimo quando non ha gli strumenti per capire, o potrebbe equivocare, o offendersi, o gestire male questa informazione o avere una reazione non funzionale alla risoluzione dei problemi e al raggiungimento degli obiettivi comuni.

Loading...

Questa attenzione è amplificata nel mondo del lavoro dal fatto che siamo immersi da un lato nell’universo dei social e dell’aggressività digitale e dall’altro in una cultura sensibilissima ai temi dell’inclusione e della non discriminazione. Questi elementi stanno creando dei contesti aziendali caratterizzati da un’enorme quantità di “indicibile” o di “infattibile”: non posso escludere una persona da un progetto perché rischio che qualcuno pensi che lo faccia perché ho un pregiudizio nei confronti di quella persona; non posso cambiare le condizioni contrattuali di un cliente perché il cliente potrebbe sentirsi discriminato per un motivo x e danneggiarmi così la reputazione; non posso scrivere che la performance di un collaboratore è stata insoddisfacente perché lui potrebbe sottolineare che questa valutazione è viziata da un pregiudizio relativo al fatto che lui…L’elenco di queste situazioni potenziali è sterminato.

Si potrebbe dire “che male c’è?” Basta attenersi a regole, procedure, policy, basta eseguire il lavoro per cui si è pagati e stare lontano dai temi “sensibili”. In teoria funziona ma in pratica è molto complesso. È difficile per un manager non venire a contatto con temi “sensibili”. Come si può esprimere un’opinione su un candidato senza dire qualcosa che potrebbe essere equivocato? Come si può gestire un collaboratore senza sfiorare aspetti della sua vita personale che inesorabilmente finiscono per interferire con il lavoro? Come si può lavorare senza affrontare mai un dilemma etico che ci obbliga a prendere decisioni delicate che dipendono dai nostri valori e/o dai valori degli altri?

In definitiva lavorare senza mai entrare nell’ambito del “tema sensibile”, del politicamente corretto o scorretto è praticamente impossibile.

Oggi molte aziende prendono posizione in modo molto incisivo e sono molto intransigenti di fronte ad affermazioni o comportamenti non inclusivi. La soglia di attenzione è elevatissima, la “linea rossa” del comportamento discriminatorio è sempre più pressante e le sanzioni sono sempre più esemplari. La conseguenza è la nascita di un dilemma inedito: fino a dove la promozione dei valori dell’inclusione può spingersi senza diventare paradossalmente a sua volta discriminatoria?

Mi aiuto con un esempio.

Un manager seleziona una candidata per un ruolo importante nella sua azienda. Ad un certo punto le dice “è sicura di poter reggere questi ritmi stressanti essendo una mamma che ha in carico anche la gestione della famiglia?” La candidata si risente per la domanda discriminatoria e sessista, scrive una mail ai vertici della società segnalando l’abuso. I vertici convocano il manager, lo minacciano di licenziamento e congelano la sua crescita di carriera.

La domanda da porsi a questo punto non è se la punizione sia giusta o meno, ma se la punizione sarà in grado di “rieducare” un manager che magari per motivi di estrazione culturale ritiene di non aver detto nulla di grave. Come reagirà il manager? Senz’altro chiederà scusa, ma si convincerà davvero di aver sbagliato? O svilupperà invece un senso di frustrazione per il fatto di non sentirsi libero di esprimersi?

Il problema è che il confine tra “indicibile” e censura è molto labile. E qui arriva il cortocircuito: come posso vivere e lavorare in un’organizzazione dove sento di non potermi esprimere, dove intuisco che i miei valori/convinzioni sono “aziendalmente inaccettabili”? Se non mi sento libero di esprimere la mia autenticità, se sento che i valori dell’azienda comprimono il mio modo di essere o di pensare qual è la ricaduta sul mio benessere lavorativo?

La domanda dovrebbe preoccupare manager e imprenditori quotidianamente impegnati a creare per i loro dipendenti le condizioni di “un bel posto dove vivere e lavorare”. Si tratta di una grande sfida per le aziende che hanno giustamente abbracciato la battaglia dell’inclusione ma devono contestualmente cercare nella quotidianità delle relazioni un equilibrio virtuoso, in modo che l’inclusione non diventi una coperta corta che se viene tirata troppo da un lato ne scopre inevitabilmente un altro.

* Managing director della società di formazione e consulenza Sparring

Riproduzione riservata ©

loading...

Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti