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Se l’inquilino non paga canone e condominio: dalla diffida allo sfratto

Morosità, le misure per il proprietario fissate dalla normativa. Ma, nella pratica, i tempi spesso si allungano, soprattutto per lo sgombero forzato. Beneficio a chi ha avuto difficoltà per pandemia e rincari delle bollette. Niente aiuto a coloro che hanno agito in modo fraudolento

di Marco Panzarella e Matteo Rezzonico

(Disegno di SANDRA FRANCHINO)

7' di lettura

Durante la locazione possono verificarsi alcuni problemi tra proprietario e conduttore non prevedibili al momento della sottoscrizione dell’accordo. Due i più frequenti: il mancato pagamento del canone d’affitto e delle spese condominiali ordinarie (accessorie), che di norma sono a carico dell’inquilino. Riguardo al canone, quando le parti firmano il contratto, è specificato con che cadenza (solitamente mensile) il conduttore deve versare al locatore il dovuto.
La legge consente, nelle sole locazioni abitative, che l’inquilino possa tardare al massimo 20 giorni rispetto a quanto concordato e, di conseguenza, entro quel lasso di tempo il proprietario non può fare nulla, se non semplici solleciti. Al ventunesimo giorno, se la morosità persiste, il locatore può inviare una diffida di pagamento, spedita mediante posta raccomandata con ricevuta di ritorno o pec: se l’inquilino persevera nell’inadempienza, il locatore, con l’ausilio di un legale, è libero di avviare le pratiche per lo sfratto, con l’avvocato che notifica al conduttore l’intimazione di sfratto per morosità, riportante anche la data dell’udienza che si terrà dinanzi al giudice. In quell’occasione l’inquilino ha due opzioni: pagare gli arretrati, gli interessi e le spese legali, continuando a usufruire dell’immobile fino alla scadenza del contratto, oppure chiedere il termine di grazia che gli consente il pagamento a 90 giorni.
Alla seconda udienza (udienza di verifica) se il conduttore paga il dovuto la locazione continua, altrimenti il giudice può emettere la convalida di sfratto e, se richiesto, un decreto ingiuntivo per il pagamento degli affitti e spese e relativi interessi: l’autorità indica la data entro la quale l’inquilino deve liberare l’immobile e le somme che il moroso è tenuto a versare al proprietario. Qualora i provvedimenti non vadano a buon fine, il locatore è legittimato a chiedere la procedura di esecuzione forzata. Dopo il preavviso di sloggio, un ufficiale giudiziario si reca fisicamente nell’appartamento e, anche con l’ausilio delle forze dell’ordine, obbliga il conduttore a liberare i locali.
L’iter normativo per sfrattare un inquilino inadempiente è definito dalle norme ma in pratica liberare un alloggio può risultare assai difficile, con dispendio di tempo e denaro. Inoltre, in molti casi l’impossibilità a pagare da parte del conduttore è dovuta a motivi che non dipendono dalla sua volontà. Si pensi, ad esempio, alla perdita del lavoro e alla repentina e consistente riduzione del reddito familiare. Per venire incontro agli inquilini in difficoltà e alla cosiddetta morosità incolpevole, sono previsti contributi distribuiti alle Regioni e Provincie autonome di Trento e Bolzano, messi a disposizione dei singoli Comuni. Questi ultimi - a determinate condizioni (valore dell’Isee entro una soglia stabilita, contratto di locazione regolarmente registrato, documentazione attestante il calo del reddito) - offrono un contributo economico a evitare lo sfratto. Sono anche previste procedure di graduazione dello sloggio, in un’ottica di “accompagnamento sociale” delle famiglie disagiate sottoposte a sfratto.
L’altro problema che si verifica con frequenza in condominio riguarda il pagamento delle spese condominiali ordinarie. Di norma il locatore si fa carico delle spese di manutenzione straordinaria mentre spetta al conduttore pagare quelle comuni ordinarie. Nel caso in cui le parti abbiano sottoscritto un contratto di locazione a canone libero, è possibile accordarsi liberamente sul pagamento delle spese, mentre se il contratto è a canone concordato occorre applicare i criteri di ripartizione previsti dalla tabella D allegata al Decreto ministeriale 16 gennaio 2017. Qualora l’inquilino non versi all’amministratore la quota di spese spettante, questi può rivalersi sul proprietario dell’immobile, che deve saldare il debito con il condominio. Solo in un secondo momento il locatore potrà rivalersi sul conduttore moroso.

(Disegno di SANDRA FRANCHINO)

LE CONDIZIONI PER RIVALERSI

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Strada stretta per chi prende in affitto e scopre «difetti»

Può succedere - dopo avere sottoscritto il contratto di affitto - che l’inquilino si accorga della presenza di alcuni abusi edilizi e “difetti” all’interno dell’immobile. Per quanto concerne i primi, è bene precisare che il contratto di locazione è un accordo tra privati che non trasferisce la proprietà, ma solo la detenzione. Di conseguenza - in presenza di irregolarità edilizie (veranda non condonata, assenza di antibagno, altezza minima dei locali non a norma e altro) - l’inquilino non rischia nulla, essendo onere del proprietario consegnare e mantenere i locali in stato conforme all’uso. Diversamente - qualora dovessero verificarsi incidenti che coinvolgano chi occupa l’alloggio o soggetti terzi - il locatore ne risponderebbe dinanzi la legge, sotto il profilo civile e anche penale.
In caso di locazione commerciale - ove i locali dell’immobile siano giudicati inagibili e il Comune ponga un divieto di utilizzo - l’inquilino è legittimato a chiedere la risoluzione del contratto, in quanto impossibilitato ad esercitare l’attività.
Più complessa la situazione dell’immobile in cui sono presenti dei vizi. Il Tribunale di Milano (sentenza 10739/2016) ha osservato che chi occupa un alloggio in affitto non può sospendere unilateralmente il pagamento del canone di locazione, anche nel caso in cui si verifichi una riduzione di godimento dell’immobile, dovuto a vizi e malfunzionamento degli impianti. In quell’occasione il giudice meneghino ha accolto la domanda di sfratto per morosità avanzata dalla proprietaria dell’immobile, obbligando il conduttore a saldare i canoni arretrati. Nello specifico, l’inquilina aveva deciso di non pagare più l’affitto (lamentando, fra le altre cose, il malfunzionamento del condizionatore e del sistema di scarico del bagno) appellandosi all’articolo 1460 del Codice civile, secondo cui «nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria». La proprietaria sarebbe quindi venuta meno a quanto disposto dall’articolo 1575 del Codice, che obbliga il locatore a «consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione».

(Disegno di SANDRA FRANCHINO)

Per il giudice, essendo il pagamento del canone di locazione la principale obbligazione del conduttore, non è consentito a quest’ultimo sospendere unilateralmente il pagamento nel caso in cui si verifichi una riduzione del godimento dell’immobile locato, mentre la sospensione è legittima nella sola ipotesi in cui venga integralmente meno la controprestazione in capo al locatore.
Due anni più tardi, il Tribunale di Roma (sentenza 18397/2018) ha chiarito che il conduttore che accetta di firmare un contratto d’affitto per un immobile, sapendo che lo stesso è affetto da vizi, deve patirne le eventuali conseguenze e non può rivalersi sul locatore. L’articolo 1578 del Codice civile prevede che «se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi al momento della consegna».
Il giudice romano ha applicato il cosiddetto “principio di autoresponsabilità” implicito nell’articolo 1578, comma 1, del Codice civile, secondo il quale nel caso in cui il conduttore abbia accettato di prendere in locazione una cosa che sapeva essere affetta da vizi o non ha usato quel minimo di diligenza sufficiente a scoprirli deve patirne le conseguenze.

(Disegno di SANDRA FRANCHINO)

PARTI COMUNI E DI PROPRIETÀ ESCLUSIVA

Tutela decoro architettonico, primo vincolo per gli interventi

Il Codice civile cita a più riprese il decoro architettonico, senza però fornire mai una spiegazione esaustiva. È stata così la Corte di Cassazione - con la sentenza 8731 del 3 settembre 1998 - a riempire il vuoto normativo, definendo il decoro «l’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia». Il concetto è di fondamentale importanza perché l’eventuale compromissione del decoro architettonico può bloccare la realizzazione di interventi più o meno importanti sulle parti comuni dello stabile e sulle parti in proprietà esclusiva nonché, in certi casi, costringere l’autore a rimuovere l’opera e ripristinare le condizioni originali.
L’articolo 1117-ter del Codice civile dispone che sono vietate le modificazioni delle destinazioni d’uso che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico. L’articolo 1120 precisa che sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. E ancora, l’articolo 1122 prevede che nell’unità immobiliare di sua proprietà, ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Infine, l’articolo 1122-bis stabilisce che le installazioni di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, nonché i relativi collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze, devono essere realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale, preservando in ogni caso il decoro architettonico dell’edificio. Al di là di quanto prescritto dalle norme, la violazione del decoro è accertata caso per caso dal giudice competente. Sul punto il Tribunale di Milano (sentenza 3222 del 17 marzo 2017) - respingendo la richiesta avanzata dal condominio di rimuovere una zanzariera e relativi supporti di sostegno collocata in un balcone di un appartamento - ha ripreso quanto espresso dalla Cassazione (sentenza 24645 del 22 novembre 2011) secondo cui vi è una violazione del decoro se le modificazioni interrompano «la fine armonica delle strutture che conferiscono al fabbricato una propria identità». In quel caso, essendo i montanti della zanzariera di colore bianco come le ringhiere degli altri balconi del palazzo coperti da tende da sole, non vi era alcuna interruzione dell’armonia dell’edificio. Inoltre, la zanzariera non è da considerarsi un’alterazione «appariscente e di non trascurabile entità» tale da provocare un pregiudizio estetico di apprezzabile valutazione economica (Cassazione 16098 del 27 ottobre 2003).
Più di recente la Suprema Corte (sentenza 11177 dell’8 maggio 2017) ha osservato che nel valutare la presunta lesione del decoro architettonico, si debba tenere conto di vari aspetti, fra cui le condizioni nelle quali versava l’edificio prima dell’intervento contestato. Per la Corte «il giudice, trovandosi a valutare se sussista lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, a cagione di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenere anche conto delle condizioni nelle quali versava l’edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l’ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori».
La porzione dell’edificio dove si verificano con più frequenza le violazioni del decoro architettonico è la facciata. Il condomino che decide di installare sul balcone di sua proprietà una tenda da sole gialla (ad esempio, rispetto alle altre verdi) potrebbe alterare l’estetica del fabbricato ed essere costretto a rimuovere il manufatto. E lo stesso vale se il proprietario di un appartamento - a seguito della sostituzione degli infissi - scelga di montarne uno di un colore diverso rispetto agli altri. C’è da dire che il giudizio del Tribunale può essere vincolato dal regolamento di condominio (se esistente) che può essere particolarmente rigido nel consentire modifiche di qualsiasi genere sulla facciata o da altri fattori: si pensi ad un palazzo d’epoca tutelato dalla Soprintendenza ai Beni culturali.

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