Interventi

Se l’ufficio brevetti ammette la creatività dell’intelligenza artificiale

di Cristina Bellomunno

3' di lettura

Nel 1982 Ridley Scott dirige Blade Runner, film in cui si immagina che nella Los Angeles del futuro, e precisamente nel 2019, la Tyrrel Corporation abbia creato degli esseri simili agli umani, ma con capacità intellettuali e fisiche notevolmente superiori.
Accade che la realtà, e Luigi Pirandello non se ne sarebbe stupito, alla prova dei fatti abbia superato la fantasia. E così, prima del “futuro” immaginato in Blade Runner, e precisamente nel 2018, nella realtà il Dr. Ryan Abbott, professore di diritto all’Università del Surrey, deposita presso molti uffici (incluso l'EPO -European Patent Office-, l'Ufficio inglese, quello americano, quello cinese, quello australiano, quello canadese e altri) due domande di brevetto (al fine di ottenere un'esclusiva per venti anni) su due trovati generati, a suo dire, autonomamente dal software DABUS (acronimo di “Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience”), designando quindi come inventore (ossia come titolare dei diritti morali) l'IA che li aveva pensati.
Fino a pochi mesi fa tutti gli Uffici presso i quali sono state depositate le domande di brevetto hanno negato la relativa concessione a nome DABUS. Ciò sulla base del fatto che le norme vigenti prevedono che possa essere designato come inventore solo una (o più) persona fisica.
Poche settimane fa, tuttavia, l'Ufficio brevetti del Sudafrica ha concesso uno dei due brevetti e, a distanza di pochi giorni, anche una Corte federale australiana (giudice Justice Beach), avanti la quale era stata impugnata la decisione dell'Ufficio brevetti di quel Paese che aveva negato la concessione a nome dell'IA, ha riconosciuto con decisione del 30 luglio 2021 (ancora non definitiva), la brevettabilità di un trovato (ovvero una invenzione] a nome di un'IA.
Stabilire se un'IA possa essere riconosciuta come inventore può sembrare una questione di esclusivo interesse di un manipolo di giuristi che si interessano della materia. In verità l'una o l'altra scelta di campo, oltre a presupporre implicazioni di carattere etico, influisce in modo importante sulla vita di tutti perché può condizionare gli investimenti che le società destinano all'IA e quindi, in ultima analisi, può incidere sul progredire della società tutta (si pensi agli importanti risultati ottenuti all'applicazione dell'IA nell'ambito sanitario).
In un recente TEDx, realizzato prima delle decisioni di cui si dà oggi conto, ho affrontato l'argomento in questione (https://www.ted.com/talks/cristina_bellomunno_intelligenza_artificiale_invento_quindi_sono) concludendo per la necessità di adeguare il sistema brevettuale alle peculiarità dell'IA. Il che mi pare confermato dalle non più univoche decisioni dei vari Uffici brevetti e delle diverse Corti.
È infatti facile predire che l'IA avrà già nei prossimi dieci-quindici anni, ulteriori sviluppi che oggi sembrano lontani e che impediranno, anche ai più scettici, di ritenere che essa non sia in grado di “creare” se non con l'ausilio dell'essere umano.
Adeguare ai nostri tempi il sistema brevettuale, dunque, come anche sembra suggerire la decisione del giudice J. Beach, è necessario. Ciò non tanto e non solo per risolvere il problema se un'IA possa essere considerata “inventore”, ma, da un lato, per consolidare la funzione del sistema brevettuale come incentivo al progresso da chiunque esso sia generato (uomo o IA) (e del resto è questo lo scopo del brevetto) e, dall'altro lato, per non indurre l'essere umano ad abdicare a favore dell'IA al proprio ruolo di “inventore”.
Qualche spunto potrà certo derivare dal “Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (Legge Sull’intelligenza Artificiale)” del 21.4.21. E, forse, anche da Blade Runner e dal tempo di vita limitato a quattro anni concesso in quel film agli umanoidi, più forti e intelligenti degli umani.

Avv. Cristina Bellomunno
Legalitax Studio Legale e Tributario


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