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«Se me lo dicevi prima», il podcast per rompere il silenzio

Michele Dalai dà voce alle vostre lettere. Da lunedì 25 maggio, ogni lunedì, 5 episodi sul sito del Sole 24 Ore e su tutte le piattaforme di podcasting gratuite

di Michele Dalai

3' di lettura

Il mio vicino di casa, il signor Cocconi, guidava una piccola macchina verde smeraldo, un’utilitaria vecchia almeno vent’anni, le linee squadrate e il motore in vita più per azzardo che per un qualche principio meccanico.
Ogni mattina si arrampicava fin qui da Langhirano, pochi chilometri che per lui facevano una differenza enorme. Langhirano è un paesone, i figli e i nipoti gli avevano proibito di dormire qua in collina per paura che succedesse qualcosa e rimanesse isolato, senza soccorsi.

Di tanto in tanto veniva con la moglie, ma in genere il mio vicino si affacciava alla piccola strada in cui viviamo da solo, suonava il clacson per avvisare i bambini, salutava passando e poi si dedicava al giardino, piccolo e curato con amore.

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L’anno scorso l’avevo aiutato a scendere dal tetto di un capanno, mi ero accorto di quanto fossero nodose le sue mani e della forza di volontà che metteva in ogni gesto.

Il mio vicino di casa mi aveva detto che questa collina e quella casa sono la cosa più bella che gli sia mai capitata. Volevo rispondergli che anche per me questi posti sono magici, anche grazie a lui e al suo piccolo rituale ma ho taciuto, ho pensato che prima o poi ne avremmo parlato, ho perso il momento.
Poi è sparito.

Dai primi di marzo a metà aprile ho pensato che non l’avrei più rivisto, che non avrei più sentito quel clacson.

Tanti anni fa Enzo Jannacci scrisseuna canzone e la portò al Festival di Sanremo, quella ballata struggente e bella come solo le note piene di Jannacci si chiama “Se me lo dicevi prima”.
L’ho ascoltata, amata e messa in quel cassetto della memoria che di tanto in tanto apri per stare meglio. M’è capitato di pensarci spesso: e se l’avessi detto prima? Se non avessi lasciato cadere il silenzio, se avessi colto quell’ultima opportunità, se non mi fossi tenuto il bello e il brutto e l’avessi condiviso come sarebbero andate le cose?

Se avessi detto al signor Cocconi che lui era parte della mia felicità mi sarei sentito meglio? Forse sì.
In quel mese e mezzo di assenza ci siamo chiesti spesso se fosse rimasto in paese per precauzione o se gli fosse capitato qualcosa. Il Signor Cocconi ha 85 anni. Abbiamo pensato di cercarlo sull’elenco telefonico, almeno un numero fisso.
Nulla.

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All’improvviso, nel pomeriggio di un giorno qualunque tra quelli tutti uguali della quarantena, ecco quel suono inconfondibile. Io e mia moglie ci siamo precipitati al muretto che separa i nostri giardini, abbiamo preso in braccio Antonio e Anita e ci siamo messi a urlare come matti.
È sceso lentamente, la mascherina un po’ sbilenca sul naso, gli occhi buoni e sorridenti come al solito.
Ha detto: «Finché ci vediamo mi sa che va tutto bene».
È stato allora che gliel’ho detto, che mi sono scusato per non averlo fatto prima: «Signor Cocconi, io le voglio bene, grazie di essere tornato».
Perché funziona così.

Questo podcast è un mezzo, una telefonata nella notte, un messaggio in bottiglia. Usate la mia voce per recuperare, raccontatemi le vostre storie per colmare quel vuoto, la distanza. Anche quando è impossibile, anche quando il silenzio è definitivo.
Perché dirlo dopo a volte sistema le cose, riallinea i pianeti, aggiusta i cocci.

Scrivete le vostre lettere a: semelodiceviprima24@gmail.com

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