Se la politica fiscale si riduce a una ricetta di MasterChef
di Salvatore Padula
4' di lettura
La promessa di avviare un percorso in grado di cambiare volto al sistema fiscale esce piuttosto ammaccata dai primi sei mesi di governo gialloverde. La spinta verso il “nuovo fisco” – che aveva nella flat tax il suo pezzo di maggior pregio, giusta o sbagliata che fosse – è rimasta schiacciata tra i due veri pilastri delle politiche di M5s e Lega in campo economico, ovvero il reddito di cittadinanza da un lato e la riforma delle pensioni dall'altro, entrambi ancora in cerca del loro punto di equilibrio, come bene si intuisce osservando sia la navigazione parlamentare della legge di Bilancio sia il confronto in atto con la Commissione europea.
In realtà, un primo colpo alle ambizioni di Salvini e Di Maio lo si era già visto nel contratto di governo, dove lo shock fiscale sbandierato in campagna elettorale – 60 miliardi di minori tasse o anche più, a seconda della stima – finisce per diventare “l'adozione di coraggiose e rivoluzionarie misure di riforma”, per ridurre il prelievo e migliorare il rapporto tra amministrazione e contribuenti. Il contratto, naturalmente, scommette fortemente sulla flat tax (ancorché con l'anomalia delle due aliquote) estesa a tutti - dalle persone fisiche alle partite Iva fino alle imprese - ma lascia chiaramente intendere che non ci si arriverà subito, ma nell'arco di più anni, come poi ripetuto in svariate occasioni dai due vicepremier.
Con la manovra si realizza l'altro downgrade delle promesse fiscali di M5s e Lega e nei provvedimenti di Bilancio c'è addirittura molto meno di quel poco che è indicato nel contratto. C'è grande enfasi sul regime agevolato per le piccole partite Iva, che – al di là dei limiti e dei pericoli segnalati da più parti: un regime iniquo, discriminatorio, che costringe al nanismo, che presta il fianco a forme di abuso più o meno ampie – sembra pensato appositamente per far passare l'idea che il percorso della flat tax sia stato almeno avviato. Non c'è dubbio che i destinatari della tassa fissa del 15% (o 5%) ne trarranno benefici, spesso significativi, ma nessuno può ignorare che sull'altare di questa “quasi flat tax” per le partite Iva vengano immolati alcuni istituti e misure fiscali non proprio irrilevanti, con la sola finalità di trovare le risorse necessarie a finanziarla.
A partire dalla doppia soppressione di Ace e Iri, che ha molto allarmato e ancora allarma gli operatori in molti settori, e che non sarà affatto compensata dall'aliquota Ires-Irpef agevolata per gli investimenti e le assunzioni incrementali (9 punti in meno) prevista dal disegno di legge di Bilancio. Tra bonus alle imprese che sfumano, minori benefici per Industria 4,0, mancato rinnovo del superammortamento, il sistema produttivo finisce per ritrovarsi fortemente penalizzato proprio nel momento in cui il rallentamento dell'economia a livello mondiale richiederebbe ben altre misure di sostegno.
Qualcosa, è vero, è destinata a cambiare in Parlamento - dal recupero parziale dei benefici per la formazione in chiave 4.0 all'aumento della deducibilità dell'Imu sui capannoni fino allo sconto sul cuneo fiscale legato ai premi Inail - ma non al punto da invertire il segno delle misure fiscali, che resterà decisamente negativo. Sono i numeri a dirlo e in questo caso non si tratta proprio di “numeretti”: nel 2019, il gettito delle imposte dirette e sul patrimonio aumenterà di oltre 4,5 miliardi di euro e la pressione fiscale resterà ferma la 41,8% del Pil.
Altro capitolo è quello dei condoni. Qui, come sappiamo, è diventata più percettibile la distanza che separa i due azionisti di governo. L'esito, però, è alquanto sconcertante: tanto rumore per nulla, vien da dire. Il che, è vero, può non essere un male per i molti che hanno a cuore l'equità del sistema. Tutto rischia di ridursi al prolungamento di misure più o meno già previste negli ultimi anni o poco più. Tramontata subito l'illusione che il condono potesse accompagnare un'ampia riforma del sistema fiscale, l'idea portante che stava alla base di questa operazione era di fornire un aiuto concreto a quanti non avevano pagato le imposte perché in difficoltà a causa della crisi economica.
Ipotesi assolutamente non verificata in nessuna delle nove sanatorie in arrivo, compresa l'ultima introdotta dal Parlamento, quella sugli errori formali, che peraltro molti considerano incomprensibile e qualcuno persino inutile (e anche sgradevolmente simile a una sorta di “obolo sulla tranquillità”, una tassa neppure tanto occulta per mettersi l'anima in pace ed evitare seccature future).
E tutto il resto di cui pure si parla nel contratto? Maggiore equità fiscale; semplificazioni; nuovo rapporto tra Stato e contribuenti; contraddittorio anticipato; abolizione dell'inversione dell'onere della prova; riduzione dei tempi di accertamento; niente strumenti presuntivi per determinare il reddito; riscossione senza generare “stati di paura”. Non pervenuti. Missing. E nessuna visione di insieme, perché sulle tasse continua a prevalere la logica degli interventi spot.
Navighiamo a vista. Ma la politica fiscale di un paese come l'Italia, che continua a essere la terza economica della Ue e che ha la seconda industria europea, non è una puntata di MasterChef, dove si prende una pentola, un ingrediente ben selezionato, si aggiunge un po' d'olio d'oliva extra vergine, sale e pepe quanto basta, qualche spezia per dare un tocco esotico e....voilà, ecco servita la ricetta giusta. No, la giusta ricetta di una politica fiscale efficace e lungimirante è il risultato di scelte ponderate, di strategie organiche per perseguire obiettivi chiari. Per gli investimenti, per le imprese, per il lavoro, per le famiglie. Per rendere il paese realmente attrattivo e competitivo. Esattamente ciò che questo governo - ma, va detto chiaramente, così è stato spesso anche per quelli che lo hanno preceduto - non può fare. Perché, ancora una volta, in questo clima da campagna elettorale permanente sembra essere più facile promettere pietanze di grande effetto mediatico – vedi la flat tax condita come fa più comodo – che non interrogarsi su quali siano gli ingredienti davvero necessari per la crescita del sistema paese.
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