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Se la rivoluzione tecnologica cambia linguaggi e contenuti

«Cultura»: da sempre si cerca di trovarne una definizione che funzioni. Nel nostro presente di mercato e impresa, anche l’aggettivo non sembra fare eccezione

di Giulia Favero

3' di lettura

«Cultura»: da sempre si cerca di trovarne una definizione che funzioni. Nel nostro presente di mercato e impresa, anche l’aggettivo non sembra fare eccezione. Per Unioncamere il comparto creativo-culturale è un bacino dove nuotano architettura e design, comunicazione, audiovisivo e musica, videogiochi e software, editoria e stampa, performing arts e arti visive, patrimonio storico e artistico. Delle imprese così definite in Italia (circa 275mila) una su quattro è femminile e una su 10 è guidata da under 35 anni, in entrambi i casi il dato è migliorativo rispetto alla media nazionale. Quelle definite come «culturali» sono quindi imprese con le carte in regola per essere considerate evolute. Rimane il dubbio di guardare la questione da uno spiraglio di classificazione troppo stretto: non è impresa culturale forse anche la libreria, il cinema, il locale storico, l’antiquario, il commerciante di strumenti musicali? E i professionisti della cultura, dagli interpreti alle guide turistiche, che posto hanno in questa narrativa?

E poi, appena cominciamo a tratteggiare meglio il volto di questo tipo di impresa, arriva la tecnologia a ribaltare il tavolo. Per dirla con un’opera del celebre compositore bergamasco Gaetano Donizetti, il cui Festival omonimo va in scena a Bergamo negli stessi giorni del Forum di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, il nuovo digitale potrebbero rivelarsi Il diluvio universale delle professioni della cultura, cancellandone utilità e competenze nel battito di un bit. Eppure, lasciata cadere «una furtiva lagrima» (sempre Donizetti, nell’Elisir d’amore) sulla soglia della modernità, un’idea si affaccia: capire cosa l’impresa culturale potrebbe farci (o già ci fa) con le nuove tecnologie, che ne modificano pubblico, linguaggi e contenuti e, infine, persino l’organizzazione.

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Proprio questi tre punti di caduta del cambiamento sono diventati la struttura concettuale del Terzo Forum di Impresa Cultura Italia, il coordinamento delle associazioni di impresa culturale (in senso esteso) che aderiscono a Confcommercio, che una volta all’anno organizza usualmente nella Capitale della cultura il proprio momento di riflessione e confronto. Il Forum di quest’anno si terrà appunto a Bergamo i prossimi 23-24 novembre (Sala Funi, Intesa San Paolo, Viale Roma 2) e, tra professori, imprenditori, manager del settore si parlerà di come le nuove tecnologie non solo inneschino nuove relazioni con il pubblico ma possano intercettare (o inventare) nuovi pubblici; tra immersività e fruibilità, si discuterà di nuovi linguaggi che diventano senza soluzione di continuità nuovi contenuti. E, infine, si guarderà al cambiamento dentro all’impresa culturale, destinata all’impermanenza come la natura, forse perché cultura è infine coltivare il cambiamento, e così nell’incontro (talvolta doloroso) con la tecnologia cambiano inevitabilmente le competenze necessarie, i servizi che la accompagnano e il paradigma che ne determina la sostenibilità, sociale ed economica. La tecnologia per la cultura è I l campanello dello speziale che non lascia Don Annibale consumare il matrimonio con Serafina e ci tiene all’erta proprio quando i consumi culturali sembravano dare qualche segnale di ripresa, seppur a velocità differenziate.

Sebbene le stime di spesa degli italiani nel 2023 siano ben al di sotto di quelle del 2019 (secondo l’ultimo Osservatorio sui consumi culturali realizzato da SWG per Confcommercio Impresa Cultura Italia ad ottobre), la previsione è comunque in crescita. Con un «ma»: gli italiani sembrano rinunciare al costo fisso, dismettendo abbonamenti e ricorrenze, ma se possono consumano cultura, con un ritorno nelle preferenze di cinema, teatro e musei. Nessun impegno, dunque, ma quando è possibile si coglie l’occasione, anche se i costi restano la principale barriera al consumo culturale. «Quanto è bella (e quanto è cara)», la cultura, direbbe Donizetti.

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