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Se La Ue è Più forte, l’Italia è più tutelata

Mentre a Roma nasceva il governo italiano, a Bruxelles si concludeva il Consiglio europeo. Tra i due eventi c’è un legame inestricabile

di Sergio Fabbrini

(rarrarorro - stock.adobe.com)

4' di lettura

Mentre a Roma nasceva il governo italiano, a Bruxelles si concludeva il Consiglio europeo. Tra i due eventi c’è un legame inestricabile. Se il governo italiano potrà decidere autonomamente su alcune politiche interne, nelle politiche che contano dovrà decidere insieme agli altri stati membri e alle istituzioni dell’Unione europea (Ue). Le politiche che contano, oggi, hanno a che fare con il controllo dei costi dell’energia, oltre che con il sostegno al governo ucraino e con il contrasto all’inflazione. Mi limito alla politica energetica. Di fronte all'incremento dei costi dell’energia che ha messo in ginocchio famiglie e imprese, incrementando le diseguaglianze all’interno degli stati, il Consiglio europeo (dei capi di governo dei 27 stati membri dell’Ue), riunitosi a Bruxelles il 20 e il 21 ottobre, è riuscito a prendere decisioni politiche importanti.

È stato deciso di procedere con “l’acquisto congiunto volontario di gas” (per un volume equivalente al 15 per cento delle esigenze in termini di riempimento), di introdurre “un nuovo parametro di riferimento complementare che rifletta in modo più accurato le condizioni del mercato del gas”, di istituire “un corridoio dinamico di prezzo di carattere temporaneo per le transazioni di gas naturale allo scopo di limitare immediatamente episodi di prezzi eccessivi del gas”, di definire “un quadro temporaneo dell’Ue per fissare un tetto al prezzo del gas utilizzato per l’energia elettrica”, tutto ciò nel contesto di una strategia finalizzata a risparmiare energia. Spetta ora alla Commissione europea (che ha il potere di iniziativa legislativa) tradurre tali decisioni politiche in proposte di legge, da sottoporre quindi al Consiglio dei ministri. Dopo le decisioni del Consiglio europeo, il prezzo del gas è diminuito di un ulteriore nove per cento. Il premier Mario Draghi ha ragione per essere soddisfatto.

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Non è stato facile arrivare a tali decisioni. Nonostante ben 15 governi nazionali avessero richiesto da mesi (in una lettera alla commissaria europea all'energia, l’estone Kadri Simson) di introdurre “un price cap…per mitigare la pressione inflazionistica”, precisando che “il cap dovrebbe essere applicato a tutte le transazioni di gas naturale e non limitato alle importazioni da specifiche giurisdizioni” (cioè dalla Russia), nonostante questa coalizione di stati (guidata dai governi italiano e francese) disponesse della maggioranza qualificata per giungere ad una decisione legislativa, la Commissione europea aveva continuato a fare orecchie da mercante, per via dell’opposizione dei governi della Germania, dei Paesi Bassi, dell’Austria, dell’Ungheria, della Danimarca e di altri sette stati membri. Com’era avvenuto durante la crisi dei debiti sovrani oppure durante la pandemia, il Consiglio europeo si è diviso tra due coalizioni di stati, con la Francia e la Germania su posizioni opposte. Se durante la prima crisi la Francia si era avvicinata alla Germania e nella seconda crisi era avvenuto l’opposto, questa volta la divisione tra i due Paesi e le due coalizioni si era irrigidita. Il governo tedesco si era opposto al price cap perché temeva una riduzione dell’offerta di gas (avendo fatto la scelta di mettere il proprio modello industriale nelle mani della Russia e del suo gas a basso costo) e il governo olandese si era opposto al disallineamento tra i costi dell’elettricità e del gas perché temeva un ridimensionamento del mercato per lo scambio del gas naturale (Title Transfer Facility, Ttf) che opera ad Amsterdam (e dove c’è stato il calo del nove per cento). Al contrario, per i firmatari della lettera dei 15, il tetto al prezzo del gas non avrebbe avuto implicazioni nella fornitura se imposto dall’intera Ue (il gas non è un “bene” che si può facilmente trasferire), così come il disallineamento tra i costi dell’energia elettrica e i costi del gas veniva considerato cruciale per contenere questi ultimi (come fatto dalla Spagna e Portogallo). Il Consiglio europeo riconosce ora le ragioni della lettera dei 15, ma contemporaneamente sottolinea il “carattere temporaneo” delle decisioni prese. E, soprattutto, lascia inevasa la domanda: come è possibile affrontare una crisi energetica di queste proporzioni senza ricorrere a permanenti politiche europee, sostenute da risorse europee, gestite da istituzioni europee, come un SURE.2 (il programma contro la disoccupazione approvato durante la pandemia) e un rafforzato REPowerEU.2 (il programma appena approvato per renderci indipendenti dai combustibili fossili russi)?

Seppure soddisfatto, Mario Draghi ha ricordato che «il Consiglio europeo ha perso troppo tempo» da quando fu inviata (otto mesi fa) la lettera dei 15. Ha ragione. Ma ciò è dovuto al carattere confederale del Consiglio europeo, cui peraltro si ispira la premier del governo italiano. Fino a quando le decisioni verranno prese dal Consiglio europeo, allora esse, nelle condizioni della crisi, saranno ostacolate dalle differenze di interessi tra i governi nazionali, differenze che si esprimono attraverso alleanze basate sulla convergenza di interessi materiali e visioni integrative. Ciò significa che, nell’attuale crisi energetica, il governo italiano dovrà mitigare la propria visione sovranista, così da convergere con la Francia e la Spagna, se vuole superare la resistenza della Germania e dei Paesi Bassi. Tuttavia, se non vuole (più) dipendere da Parigi (oggi) o da Berlino (domani), e non potendo fare come Londra (visto cosa ha creato la Brexit), allora il governo dovrà riconoscere che dotare Bruxelles di capacità e risorse autonome è la condizione per promuovere il nostro interesse nazionale.

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