Se a Wall Street mancano i venerdì
di Marzia Redaelli
3' di lettura
Wall Street ha fallito poche volte il rally di Natale: dopo la crisi del 2007, gli indici azionari di New York hanno chiuso l’ultimo mese dell’anno in ribasso solo nel 2014 (poco sotto la parità) e nel 2015 (per meno del 2%). Soprattutto, le azioni Usa non hanno quasi mai eguagliato una perdita dicembrina come quella in corso, che vede vicino al -7% sia le grandi società del Dow Jones Industrial e dell’S&P500, sia i titoli tecnologici del Nasdaq. Nel 2002 Dow Jones e S&P500 ci sono andati vicino con un -6%, ma la scivolata di quest’anno risulta fin qui la loro peggiore dagli anni ’50; il Nasdaq, invece, sempre nel 2002 scese di quasi dieci punti percentuali sui postumi della bolla internet.
Al di là delle statistiche, la fuga degli investitori dalla borsa americana è significativa, perché ha a che fare con il dilemma tra eque valutazioni e
prospettive dell’economia e degli utili: i profitti sono solidi grazie alle gigantesche politiche espansive monetarie e fiscali attuate l’una in fila all’altra; ma pure le valutazioni delle aziende quotate sono salite molto con l’arrampicata delle quotazioni nell’ultimo decennio. Inoltre, il ciclo potrebbe naturalmente rilassarsi, anche per via dell’incertezza sulle manovre economiche dal prossimo anno in poi, con Trump che ha già fatto il giro di boa del mandato. Gli analisti finanziari sono prudenti, sebbene non così pessimisti circa la possibilità di mettere ancora fieno in cascina. Del resto, le alternative agli Usa non sono tante, con l’Europa che soffre le tensioni e il rallentamento, e l’Asia che patisce il dollaro forte e i tassi di interesse in salita.
Proprio la questione tassi potrebbe dare un colpo di coda a un clima deteriorato, a cui ha dato manforte qualche dato macro un po’ deludente come l’indice dell’attività immobiliare Nahb e il parametro manifatturiero dell’area di New York. Stasera, infatti, la Federal Reserve (la banca centrale statunitense), diffonderà la decisione sul livello del costo del denaro, che probabilmente sarà elevato nella fascia 2,25%-2,50%.L’aggiustamento è dato quasi per scontato, mentre gli investitori vorranno trovare nelle parole di Jay Powell, il governatore della Fed, indizi sulle mosse future; a maggior ragione dopo l’imbeccata di Donald Trump, che vorrebbe una banca centrale più compiacente alle sue ambizioni di crescita. «Per Powell - afferma Alessandro Balsotti di Jc Capital -credo sarà più semplice rispettare le aspettative per un rialzo e sfruttare
proiezioni e conferenza stampa per dare un chiaro segnale di cautela sulle mosse future, piuttosto che fermare in maniera relativamente inattesa la normalizzazione monetaria, e poi dover giustificare la decisione con il rischio aggiuntivo di spaventare gli investitori con scenari economici pennellati in chiaro peggioramento. Ad ogni buon conto, la curva sconta davvero poco per il 2019 e, messo in cantiere l’atteso rialzo, rimane meno del 50% di probabilità che ne arrivi un altro per i prossimi 12-18 mesi».
Vedremo se il mercato ritroverà ottimismo nello scenario dipinto dalla Fed e, magari, con un’agenda dei tassi meno restrittiva del previsto. Mancano solo due venerdì alla fine del 2018 e come spiega Giuseppe Sersale di Anthilia Capital
Partners: «É un fatto che di recente il venerdì si sia rivelata una giornata di vendite. É successo otto volte su undici nel quarto trimestre, e a Dicembre siamo a due su due con una media di oltre il 2% di calo (-2,3% e -1,9%). L'impressione è che gli investitori siano riluttanti a portarsi le posizioni nel week end, un atteggiamento che è l’ennesimo sintomo di un umore depresso, in particolare se riscontrato in un mese dalla stagionalità tipicamente positiva come dicembre. Sentimentrader osserva che precedenti del genere (minimi a sei mesi in dicembre e serie di minimi il venerdì) hanno portato a performance attraenti nel breve, ma per il momento con queste condizioni non si sono avuti che effimeri rimbalzi da ottobre in poi».
Wall Street, però, ci ha anche abituato alle inversioni di rotta repentine.
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