3' di lettura
Seamus Heaney è stato uno dei poeti più letti, studiati e tradotti dell'ultimo Novecento. È nato nel 1939, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, a Castledawson, in Irlanda del Nord, nella fattoria di famiglia, primo di nove figli. Ed è scomparso dieci anni fa, nel 2013, poco prima del suo consueto soggiorno mantovano, nelle terre virgiliane. In quasi mezzo secolo ha pubblicato dodici raccolte in versi, tre volumi di saggi critici e traduzioni da ben quindici lingue differenti.
Se traducendo incontra altre poetiche e compie un atto creativo, quando fa poesia riconquista la propria interiorità rendendola leggibile, partendo dai dettagli condivisibili, dalla comunanza degli oggetti quotidiani. Nel 1995, a cinquantasei anni, è il più giovane intellettuale della storia a ricevere il premio Nobel “per opere di bellezza lirica e profondità etica”.
Umile dedizione nei confronti della poesia
È stato accademico di chiara fama, occupando le cattedre di Harvard e di Oxford, e non come traguardo di un percorso personale quanto ambizioso, bensì come riconoscimento della sua umile dedizione nei confronti della poesia. Mai ha fatto pesare il suo profilo internazionale, benché lo chiamassero “Seamus Famous”, “Seamus il Famoso”.
“Infante”
Il termine “infante” deriva dal latino “infans”, “muto”, ancora sprovvisto di parola; e di frequente Heaney si è definito tale, quasi si sentisse predestinato a un uso inclusivo del linguaggio. La sua naturalezza di trasfusione dall'ascolto sensoriale alla lettura silenziosa è evidente sin dal suo esordio, “Morte di un naturalista” (1966), tradotto postumo da Marco Sonzogni. Le scene rurali sono struggenti nella loro normalità: i rumori campestri s'imprimono nella memoria di lui infante, appunto, influenzando la sua intera produzione e conducendolo a fondere lo scavo dell'antica vanga impugnata dal nonno e dal padre con quello della penna veritiera sul foglio. “Sradicava gli alti ciuffi, affondava la lama lucente”: in “Digging” risalta il ritmo dell'arnese che solcava il terreno, battente e insieme oscillatorio, che nella dimensione atemporale della poesia mette in relazione il presente e il passato, i momenti diversi di una stessa esistenza o di vite diverse.
Il decennale della scomparsa
Ordinario di traduttologia, italianistica e comunicazione interculturale all'Università di Wellington, in Nuova Zelanda, Sonzogni ha goduto per anni dell'amicizia con il Nobel. E oggi è una delle personalità più autorevoli sulla sua opera, a tal punto che si sta occupando delle principali pubblicazioni a lui dedicate e previste nei prossimi mesi. Se lo scorso autunno abbiamo avuto in hardcover “The Translations of Seamus Heaney” (Faber&Faber), curata da lui stesso, il prossimo ottobre uscirà l'edizione paperback. Parallelamente, ha introdotto i testi del Meridiano che confluiranno ne Lo Specchio Mondadori, ma senza apparato critico, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre. La novità sul nostro mercato editoriale, a cura di Sonzogni, sarà “Come a casa. Le versioni pascoliane” (Samuele Editore), volume concepito con Leonardo Guzzo e Federica Massia che inaugurerà il palinsesto poetico del Salone del Libro di Torino, sotto l'egida di Pordenonelegge.
“On home ground”
Il titolo “Come a casa” è stato deciso da Guzzo, traduttore nella suddetta antologia della lectio magistralis che Heaney tenne all'Alma Mater di Bologna, nel 2012, quando fu invitato a presentare le sue versioni in occasione del centenario della morte di Pascoli. La traduzione letterale sarebbe “su un terreno familiare”, mentre la scelta compiuta conferma e rafforza l'icasticità dell'espressione da una lingua all'altra. Pur sentendosi un “estraneo” a casa del letterato romagnolo, Heaney manifesta un'affinità di condizione, derivata sia dall'esperienza concreta in campagna sia dalla capacità di percepirne la simbologia.
loading...