I vincitori dello Strega, ecco «Resistere non serve a niente» di Walter Siti
di Gianluigi Simonetti
3' di lettura
Resistere non serve a niente è un libro chiave nell’opera di Walter Siti, perché introduce due importanti novità: è il romanzo in cui viene meno (quasi del tutto) il racconto di sé in prima persona - l’«autobiografia di fatti non accaduti» messa a punto da Scuola di nudo a Troppi paradisi , e riaffiorava a tratti nel Contagio e in Autopsia dell’ossessione - e insieme il primo in cui il desiderio erotico non figura come tema principale.
Il grosso del romanzo è dedicato a un broker d’assalto, Tommaso Aricò, che propone al personaggio Walter Siti di scrivere la storia della propria ascesa, garantendogli i mezzi e i documenti anche psicologici per farlo («devi dirmelo tu chi sono»). Il tema profondo del libro è quindi il denaro, o meglio l’analisi del nesso misterioso e per così dire metafisico che collega i soldi col potere. L’ambiente che esploriamo è infatti quello della finanza internazionale, investigata nei suoi nessi con il crimine organizzato: un rapporto che non è d’intesa perversa e occasionale, ma di vera e propria complementarità, di collaborazione anche filosofica. L’obiettivo, ai livelli più elevati e raffinati del sistema, non è tanto l’arricchimento personale, quanto la conquista dell’autorevolezza e del sapere necessari a comandare il mondo: «Il denaro non serve per comprare ma per comprendere e quindi dirigere»; «il segreto dei soldi non è fare, ma sapere di poter fare». Come in certi libri di Leonardo Sciascia, o di Delillo, finanza e mafia sono raccontate come forme di apprendistato all'esercizio di un potere visto come fine assai più che come mezzo. Ma in che consiste esattamente il fine? Tanto più l’economia globale si fa immateriale e ipercinetica, tanto più al suo interno evapora la distinzione tra ciò che legale e ciò che non lo è; al tempo stesso, chi agisce nella sala macchine del potere vive alla lettera il problema di non saper più cosa possiede, e cosa farne. A queste altezze il denaro si disincarna: profitto, consumo, lusso si rivelano mediocri surrogati di un arcaico e spiritualissimo bisogno di assoluto; sono in un certo senso il segno di una nostalgia del sacro. La crisi della finanza occidentale, per come il libro la descrive, non travolge solo il capitalismo industriale, ma il modello stesso di individuo nato con la modernità, inventore e depositario dei diritti dell’uomo; la stanchezza di un Occidente «padrone-delle-merci» coincide con la fine della democrazia, svilita sul piano simbolico e di fatto già esautorata da sotterranee oligarchie transnazionali. Resistere non serve a niente perché il desiderio di distruggere e distruggersi non è esterno, ma interno alla nostra società; perché fa parte (come suggerisce il nuovo romanzo di Siti, La natura è innocente , uscito appena venti giorni fa) della cultura stessa che abbiamo sviluppato. «Dio sta morendo anche nei suoi surrogati».
Quando Resistere non serve a niente apparve in libreria, nel 2013, colpì soprattutto per la profondità con cui indagava una società sconvolta dal crac di Lehman Brothers, dalla crisi mondiale dei subprime, dalla caduta del governo Berlusconi seguita all’impennata dello spread. Raccontava un occidente abituato ad anestetizzarsi realizzando col denaro desideri sempre più assurdi e inverosimili, nel momento in cui i soldi per molti stavano per finire - e insieme ai soldi gli alibi, i pretesti per vivere una vita senza senso. Oggi, nel momento in cui una crisi perfino più globale e devastante si prepara a cambiare l’economia mondiale in modo imprevedibile ma presumibilmente tragico, e ad aumentare ulteriormente povertà e disuguaglianze, Resistere non serve a niente, inteso come psicanalisi di un’autodistruzione, rischia di essere ancora più attuale. O forse anacronistico, se nel futuro prossimo sapremo attraversarlo e attraversarci.
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