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Security o no? Non è finita: la Sec torna all’attacco contro Ripple e la sua Xrp

La Consob degli Stati Uniti ha scritto una lettera al giudice Torres che il 13 luglio ha sentenziato che la criptovaluta, quando venduta ai retail, non è equiparabile a uno strumento finanziario

di Vito Lops

(REUTERS)

3' di lettura

La Sec non ci sta e ha annunciato di ricorrere in appello contro la decisione del Tribunale di New York che il mese scorso ha dato ragione a Ripple Labs sentenziando che la criptovaluta emessa dalla società (Xrp) non è una security, ovvero uno strumento finanziario, come invece nell'accusa della Sec che ha intentato nel 2020 un'azione legale.

La Securities exchange commission americana, l'equivalente della Consob italiana, ha inviato una lettera in data 9 agosto al giudice Analisa Torres, che presiede il caso, sollecitandola inoltre a sospendere, in attesa dell'appello, il processo dato che a questa decisione sono agganciati altri casi giudiziari, come quelli della Sec contro gli exchange Coinbase e Binance, accusati appunto di vendere senza autorizzazione delle securities.

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la Sec la stessa sentenza non è chiara. ll 13 luglio la giudice distrettuale Torres ha affermato che le vendite di Xrp da parte di Ripple Labs a investitori sofisticati soddisfacevano i requisiti per un contratto di investimento secondo la legge federale sui titoli, poiché quegli acquirenti «avrebbero capito che Ripple stava promuovendo una proposta di valore speculativo per Xrp con potenziali profitti». Ma lo stesso giudice ha affermato che ciò non valeva per gli investitori retail, ossia il pubblico più ampio che acquista criptovalute sugli scambi. Quindi, stando alla sentenza, Xrp ha vestito i panni di security quando è stata venduta agli istituzionali mentre li ha dismessi quando è approdato sugli exchange dove è consentita la compravendita al pubblico indistinto.

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Nella lettera la Sec ha sottolineato che un giudice dello stesso Tribunale di New York, Jed Rakoff, si è detto contrario all'approccio adottato dalla Torres riferendosi alla vendita del token TerraUsd da parte del Terraform Labs fondato dal coreano Do Kwon (arrestato lo scorso marzo) la cui vendita anche al pubblico al dettaglio secondo Rakoff è equiparabile a quella di uno strumento finanziario (security).

Gli avvocati di Ripple Labs al momento hanno preferito non commentare la vicenda.

Dopo la sentenza di luglio il valore di Xrp è quasi raddoppiato passando da 0,46 dollari a 0,95 salvo poi nei giorni successivi ritracciare. La controffensiva della Sec, per quanto attesa, ha messo ulteriore pressione al prezzo che ieri è sceso del 3% a 0,62 dollari, esattamente a metà strada tra il valore che esibiva prima della sentenza a suo favore e il picco raggiunto nel momento di massimo ottimismo.

La partita resta aperta e non riguarda solo Ripple Labs e il suo Xrp. Su molte altre criptovalute pende la spada di Damocle del passaggio dall'essere considerate dei “semplici” token funzionali ai rispettivi cripto-progetti all'evolvere in securities. In primavera la Sec ha aggiornato la sua “lista nera delle crypto-securities” che annovera una sessantina di progetti. Tra questi vi sono protocolli noti come Solana, Algorand e Polygon Matic. Se dovessero rientrare nella categoria dei prodotti di investimento dovrebbero essere immediatamente delistati dagli exchange di criptovalute rischiando di perdere una fetta importante di liquidità.

Non rientra in questa partita a scacchi Bitcoin, che è stato definito dalla Sec in più di un'occasione una materia prima, con tanto di future quotato nel mercato Cme delle materie prime a Chicago. Bitcoin non è un'azienda e non ha padroni. Dispone di un'ampia community di sviluppatori che lavorano al miglioramento del protocollo. Seppure resti per molti operatori un asset divisivo dal punto di vista del valore intrinseco (per Warren Buffett non vale nulla mentre Larry Fink, ceo di BlackRock, lo ha recentemente definito «oro digitale») su una cosa mette tutti d'accordo: non è uno strumento finanziario.

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