Sedili per l’auto «autonoma». A Torino il prototipo in 5 anni
di Filomena Greco
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L’automotive “made in Piemonte” prova a cambiare pelle, spinge sull’export e guarda all’auto del futuro. In questo processo di trasformazione industriale, accelerato dai nuovi paradigmi della mobilità, capita che una grande multinazionale come l’americana Adient, nata da uno spin off del Gruppo Johnson Controls oltre un anno fa, con oltre un terzo del mercato mondiale di sedili e senza stabilimenti produttivi in Italia, valorizzi il suo centro di ingegneria e sviluppo di Torino coinvolgendo parte degli ingegneri nello sviluppo del sistema sedili destinato alle future auto a guida autonoma, accanto al team di lavoro americano.
«Abbiamo realizzato un concept– spiega Richard Chung, vice presidente Adient con delega all’innovazione – destinato ai sistemi a guida autonoma di livello 3 e di livello 4, dunque con e senza i sistemi di guida incorporati integrati. Immaginiamo che entro cinque anni questo prototipo in grado di ampliare le modalità di utilizzo dell’interno di una vettura per lavorare, riposare o conversare diventino un prodotto industriale vero e proprio». Dalla sede di Collegno i 50 addetti della Adient, come racconta il presidente e ceo del ramo italiano Marzio Raveggi, «collaborano con il Gruppo Fiat Chrysler per le produzioni in area Emea, oltre in Cina e India, oltre che lavorare su singoli progetti relativi alle produzioni destinate agli stabilimenti del Sud Europa per altri gruppi, come ad esempio i produttori francesi. Il sistema sviluppato per l’auto a guida autonoma in particolare è nato nell’ambito del progetto del Chrysler Portal, il concept sviluppato dal Gruppo Fiat Chrysler sull’auto familiare del futuro».
Il percorso per i componentisti piemontesi non è scontato nè semplice. Non lo è per i volumi produttivi di veicoli, che pur in ripresa negli ultimi anni, restano bassi in valore assoluto – in Italia l’anno scorso sono stati prodotti complessivamente 1.103.305 veicoli, tra auto e commerciali, sesto paese produttore in Europa dopo Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Repubblica Ceca, con volumi però quasi dimezzati nel decennio 2007-2016, da 1,5 milioni a 892mila. Ma la direzione è chiara: crescere sui mercati esteri e focalizzare le produzioni a valore aggiunto.
Il volume di esportazioni delle aziende della componentistica auto, a livello nazionale, è cresciuto nel primo semestre dell’anno del 4,8%, a quota 10,9 miliardi, con un saldo commerciale pari a tre miliardi come evidenzia l’elaborazione dei dati Istat realizzata dall’Anfia, l’Associazione delle imprese della filiera automotive. La voce componentistica automotive – dunque motori e componenti – vale quasi il 5% delle esportazioni italiane, con una bilancia commerciale in positivo da oltre un ventennio.
La performance del Piemonte è stata, guardando questa volta all’elaborazione curata da Unioncamere sul dato regionale, ancora più vivace, con la componenstistica in crescita rispetto al primo semestre del 2016 del 7,7%. Questo significa che il ruolo dei produttori italiani e piemontesi, in particolare, si consolida nelle filiere dei car maker stranieri, in particolare tedeschi, visto che la Germania resta il primo paese esportatore per i produttori italiani, con una quota che sfiora nel primo semestre quasi il 20 per cento. «La produzione interna in crescita nei primi nove mesi dell’anno, l’andamento delle immatricolazioni e l’export – riassume Giuseppe Barile, presidente del Gruppo Componenti Anfia – hanno un impatto positivo sulla produzione di componenti in Italia, in rialzo del 7,3% a settembre e del 7,1% nei primi 9 mesi dell’anno in corso».
Cosa esportano i componentisti italiani? Anzitutto parti meccaniche, per quasi il 66% del totale (7,2 miliardi in valore), poi motori, per 2,1 miliardi (+4,9%) e pneumatici e articoli in gomma. Ma è sull’ingegneria e lo sviluppo di nuove tecnologie che in Piemonte si sta giocando forse la partita più interessante, come dimostra il caso General Motors, che a Torino ha il suo Global Propulsion Systems, con 700 ingegneri e tecnici focalizzati sullo sviluppo dei motori diesel, anche in versione ibrida. Senza dimenticare il design legato alla tradizione dei grandi carrozzieri torinesi. Nella stragrande maggioranza dei casi questi ultimi hanno cambiato “padrone”, come Pininfarina e Italdesign, e sono riusciti a focalizzare un business model nuovo. Nel caso di Pininfarina, in particolare, dopo l’acquisizione degli indiani di Mahindra, si può parlare di uscita definitiva dalla fase di crisi che ha caratterizzato il gruppo a partire dal 2008. L’ultima trimestrale evidenzia una valore della produzione salito del 10,4%, a 62,1 milioni, con tutti gli indicatori finanziari in miglioramento (ebitda a 4,6 milioni contro il negativo per 200mila euro del 2016, ebit positivo per 2,3 milioni contro il dato negativo per 2,8 milioni dei nove mesi del 2016). E ieri, durante un incontro con i sindacati metalmeccanici, l’azienda ha riepilogato i dati sull’occupazione, tornata a crescere dall’anno scorso: gli addetti a Cambiano sono 300, una trentina in più dell’anno scorso con un piano di nuove assunzioni per circa 50 posizioni.
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