Selezione di grani pregiati e buone pratiche: la pasta Mancini si racconta in un Qr code
di Michele Romano.
3' di lettura
Fare della pasta non qualcosa che si limita a sostenere i condimenti o materia di esclusivo interesse degli chef, ma un prodotto vivo e trasparente per un consumatore consapevole. Un obiettivo sfidante per Mancini Pastificio Agricolo, un’area raccolta in un raggio di poco più di venti chilometri nelle campagne di Monte San Pietrangeli, al confine tra le province di Fermo e Macerata: al centro c’è un pastificio che occupa 30 addetti e, tutt’intorno, circa 800 ettari di terreni, il 50% dei quali, a turnazione, coltivati a grano duro, unica fonte di approvvigionamento della materia prima, curati da Massimo Mancini, laurea in agraria con un tesi sulla pasta ed erede di un’attività che la sua famiglia porta avanti da quasi cent'anni, ma che prima di lui si era limitata alla produzione del grano e non alla sua trasformazione.
«Diventare produttore di pasta ha significato sconvolgere l'organizzazione», ammette il titolare, che ha appena iniziato una collaborazione con la startup Apio, una sede a Ripatransone nel Piceno, per dotare le confezioni di pasta di un QR Code che permetta di raccontare al consumatore la storia che porta alla creazione del prodotto finito. Pasta Mancini diventa così una delle prime aziende italiane del comparto agroalimentare ad aver aperto un canale di comunicazione diretto con i propri clienti attraverso Trusty, una piattaforma che utilizza la tecnologia blockchain ideata da Apio e sviluppata in collaborazione con Var Group su tecnologia IBM Food Trust. «I QR Code non sono un semplice vezzo tecnologico spiega Alessandro Chelli, CEO e co-fondatore della startup tecnologica -: rappresentano la carta d’identità del prodotto, che tutela sia il cliente finale sia il produttore il quale, in modo trasparente, può certificare le buone pratiche che si celano dietro la realizzazione di un prodotto di qualità. Trusty crea uno spazio digitale che abbatte le barriere tra produttore e consumatore, instaurando un rapporto di fiducia autentico e trasparente». Per Mancini quella tecnologica è stata una scelta naturale, una sorta di operazione trasparenza che era già nelle corde dell'azienda, favorita proprio dall'essere filiera chiusa: «Il cambiamento più evidente è stato nelle confezioni e non nell’organizzazione produttiva».
Tre varietà di grano duro coltivate: Maestà, Nazareno e Nonno Mariano, alla cui memoria Mancini ha voluto dedicare «un percorso non banale e complesso di selezione, sviluppato dall’agronoma Oriana Porfiri, alla quale mi sono presentato agli inizi degli Duemila». Accanto a una guida così autorevole, l’azienda è cresciuta e ha messo in piedi anche buone pratiche agricole, regole per una gestione ecocompatibile e sostenibile delle attività, «per produrre una materia prima della più alta qualità e salubrità con il minor impatto ambientale possibile». La prima impone la rotazione degli ettari coltivati a grano, alternando i terreni con colture miglioratrici come le leguminose.
Sono tre le linee di pasta: la classica, che con i suoi 22 formati pesa sulla produzione per il 90%, l’integrale (3 formati) e la Grani Turanici, un cereale antico rimesso in coltivazione. Il mercato principale è stato, fino al pre-covid, quello della ristorazione, capace di assorbire il 70% della produzione: «La pandemia ci ha dato nuove idee e nuove opportunità, a cominciare dallo shop sul nostro sito», dice soddisfatto Mancini, che spera di chiudere il 2021 confermando il +15% di crescita che ha contraddistinto l’ultimo quinquennio. L'obiettivo è di arrivare a 4,3 milioni di fatturato, crescendo sia in Italia, che oggi assorbe il 70% della pasta prodotta, che all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone, che rappresentano i primi due mercati di sbocco.
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