Semine grano, aumento del 10% per contrastare siccità e guerra
L’ampliamento dei terreni coltivati consentirà di ridimensionare il deficit nazionale che è del 35% per il grano duro e del 62% per il frumento tenero rispetto al fabbisogno dell’industria alimentare
di Alessio Romeo
3' di lettura
Il granaio italiano torna a riempirsi. L’autosufficienza resta un miraggio irraggiungibile, per i limiti strutturali a cui si aggiungono ora i rincari senza precedenti dei fattori di produzione, ma se le prime indicazioni fossero confermate la campagna cerealicola 2023 partirà comunque con un aumento a due cifre degli investimenti. Un aumento che potrebbe almeno ridimensionare il deficit nazionale giunto quest’anno al 35% per il grano duro e al 62% per il frumento tenero rispetto al fabbisogno dell’industria di prima trasformazione.
In attesa del completamento delle operazioni di semina al Centro-Sud la Coldiretti stima un incremento tendenziale degli investimenti invernali complessivi, tra grano tenero e duro, compreso tra l’8 e il 10%, rispetto ai 539mila e 1,24 milioni di ettari del 2022. Un aumento dovuto non solo alle aspettative di mercato, con i prezzi vicini ai massimi storici nonostante la volatilità e il calo delle ultime settimane, ma reso possibile anche dall’estensione al settore delle deroghe alla nuova Politica agricola comune sull’uso dei terreni a riposo. Bruxelles ha deciso infatti, tra le misure anticrisi adottate a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, di dare agli Stati membri la possibilità di sospendere la rotazione annuale obbligatoria dei seminativi introdotta con la riforma Pac 2023-27 che entra in vigore l’1 gennaio prossimo. Dando così la possibilità di coltivare i terreni lasciati a riposo, anche se limitatamente alle colture destinate all’alimentazione umana. Una decisione particolarmente importante da cui la Commissione aveva escluso, inizialmente, proprio le semine di cereali invernali.
Anche lo scorso anno le superfici seminate erano aumentate ma l’impatto climatico aveva falciato la produzione. In particolare quella di frumento tenero, scesa ai minimi degli ultimi cento anni, a 2,5 milioni di tonnellate a fronte di un fabbisogno industriale di 5,3 per la produzione di pane, pizza e dolci. Le incognite di quest’anno, oltre al meteo, sono legate soprattutto agli alti costi di irrigazione e dei fertilizzanti. Due fattori che rischiano di frenare la ripresa produttiva. Sull’acqua, e sui costi relativi alla sua distribuzione, le nuove tecniche di agricoltura di precisione stanno consentendo di ottimizzare rese e costi, con ovvi benefici in termini ambientali. Con, sullo sfondo, il piano invasi promosso dalla Coldiretti che punta a un grande investimento pubblico per migliorare i bacini di raccolta esistenti. Mentre per contrastare la carenza di fertilizzanti – di cui la Russia è il primo produttore ed esportatore mondiale – la Commissione europea ha presentato agli Stati membri una serie di misure tra cui spicca l’uso dei 500 milioni destinati alla riserva anticrisi della Pac. La mancanza di fertilizzanti genera incertezze sulle potenzialità di resa in tutta Europa, dove gli analisti francesi di Strategie grains prevedono un calo complessivo delle semine a frumento tenero a 21,67 milioni di ettari contro i 21,78 dell’anno scorso. Una stima che avvalora il dato italiano.
«Gli agricoltori italiani sono pronti oggi a coltivare un milione di ettari in più – sottolinea il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – per garantire la sovranità alimentare del Paese e ridurre la dipendenza dall’estero. La pandemia prima e la guerra poi hanno dimostrato che la globalizzazione spinta ha fallito, servono rimedi immediati e un rilancio degli strumenti europei e nazionali che assicurino la sovranità alimentare come cardine strategico per la sicurezza, ma ciò sarà possibile solo attraverso interventi urgenti e scelte strutturali».
Negli ultimi cinquant’anni l’Italia ha perso un terzo dei terreni agricoli, aumentando la dipendenza dall’estero di soia (73%), grano (62%), mais (46%) e orzo (36%). Nei primi nove mesi del 2022 la spesa per l’import cerealicolo è cresciuta del 43,3% a 4,9 miliardi, a fronte di un aumento del 7,4% delle quantità. Il primo passo per recuperare capacità produttiva secondo Prandini «è lavorare sulle infrastrutture e in particolare sul sistema degli invasi artificiali, che darà la possibilità di rendere irrigui quasi 500mila ettari. I laghetti consentirebbero peraltro di produrre energia da fonti rinnovabili, sia attraverso la realizzazione di circa 350 impianti fotovoltaici galleggianti, sia attraverso il processo di produzione idroelettrico. In totale 7 milioni di megawattora all’anno. Per recuperare terre fertili – aggiunge – è poi necessario promuovere processi innovativi di affidamento e gestione dei campi abbandonati per altri 500mila ettari; investire sulla digitalizzazione con lo sviluppo di applicazioni di agricoltura di precisione e accelerare sul riconoscimento delle nuove biotecnologie».
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