Vinitaly

Senza alcol o annacquato? «Non chiamatelo vino»: la denuncia di Coldiretti

Sono pratiche sempre più diffuse nel mondo e in parte autorizzate anche in Europa. Ma, sostiene l’associazione dei coltivatori, il prodotto che ne risulta con il vino non ha nulla a che fare

dal nostro inviato Giorgio Dell'Orefice

Il Vinitaly della ripartenza, torna in presenza con 4.400 espositori

3' di lettura

Dal vino senz'alcol a quello annacquato, da quello con l'aggiunta di zucchero al vino “in polvere” fino al finto rosato. Sono solo alcune delle pratiche enologiche che si stanno diffondendo nel mondo e in parte autorizzate anche in Europa e denunciate oggi al Vinitaly di Verona dalla Coldiretti con la mostra “Non chiamatelo vino”.
Un trend che molto spesso coincide con vere e proprie pratiche di contraffazione e che deriva dalla diffusione della produzione vitivinicola a territori non sempre vocati e senza una cultura e una tradizione enologica.

«Un esempio – spiegano alla Coldiretti - è la scelta della Ue di autorizzare nell'ambito delle pratiche enologiche l'eliminazione totale o parziale dell'alcol anche nei vini a denominazione di origine. In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto – sottolinea la Coldiretti – in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell'uva in mosto e quindi in vino».

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Va detto che il trend del vino dealcolato o low alcol si sta diffondendo in mercati chiave per il vino made in Italy come gli Stati Uniti dove questi prodotti sono spesso lo strumento di avvicinamento al vino delle nuove generazioni.

Un precedente pericoloso

Fermo restando il legame con le tradizioni del vino made in Italy resta un aspetto: se l'Italia rinunciasse a realizzare vini con meno o del tutto privi di alcol, questo non implica che lo spazio di mercato non venga occupato da altri produttori. Per il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini si tratta comunque «di un precedente pericoloso che apre la strada all'introduzione di derive che mettono fortemente a rischio l'identità del vino italiano, che è la principale voce dell'export agroalimentare nazionale».

Secondo Prandini «è in atto una demonizzazione indiscriminata, pilotata da alcune multinazionali, che punta ad affermare un nuovo modello alimentare e culturale che danneggia il settore e mette in discussione storia, cultura e valori fortemente radicati nel cibo e nei vini made in Italy, la dieta mediterranea stessa, patrimonio Unesco e il consumo moderato e responsabile che contraddistingue il vino in Italia».

Zuccheraggio e aggiunta d’acqua

Diversi invece sono i casi dello zuccheraggio del vino e dell'aggiunta di acqua. La prima è una pratica consentita per innalzare la gradazione alcolica di uve spesso prodotte in climi più freddi come in Germania, Austria e in alcune aree della Francia, «ma è vietata – ha aggiunto la Coldiretti – nell'80% dei paesi europei produttori di vino».

«Negli Stati Uniti poi – hanno aggiunto alla Coldiretti – è addirittura consentita l'aggiunta di acqua al mosto per diminuire la percentuale di zuccheri secondo una pratica considerata una vera e propria adulterazione in Italia».

«Miscele di vini da tavola bianchi e rossi per produrre un “finto rosè” vietate in Europa sono possibili invece in Nuova Zelanda e in Australia. L'Unione Europea però – continua la Coldiretti – ha dato il via libera anche al vino senza uva con l'autorizzazione alla produzione e commercializzazioni di vini ottenuti dalla fermentazione di frutti diversi dall'uva come lamponi e ribes, molto diffusi nei Paesi dell'Est».

L'ultima frontiera dell'inganno è la commercializzazione molto diffusa, dal Canada agli Stati Uniti fino ad alcuni Paesi dell'Unione Europea, di kit fai da te che promettono il miracolo di ottenere in casa il meglio della produzione enologica made in Italy. Si tratta di confezioni che grazie a polveri miracolose promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Lambrusco o Montepulciano. «Il problema – conclude la Coldiretti - non è legato solo all'utilizzo delle pregiate denominazioni del Belpaese, poiché in base alla normativa europea del vino, non è possibile aggiungere acqua nel vino o nei mosti».


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