Il calcio riparte: un piano per fermare perdite per 1 milione al giorno
Al 30 giugno 2019 il deficit dei 20 club di Serie A era pari a 275 milioni. Nella passata stagione persi almeno 90 milioni per l’emergenza sanitaria
di Marco Bellinazzo
3' di lettura
La Serie A, che il 18 settembre inaugura la stagione 2020/21 con il match tra Fiorentina e Torino, è un’azienda che brucia 1 milione al giorno. Una tendenza ad accumulare perdite e debiti (l’indebitamento lordo viaggia verso i 4,5 miliardi) insostenibile già prima della pandemia di Covid-19 e che ovviamente è stata acuita dal lockdown.
La situazione
Se al 30 giugno 2019, come certificato dall’ultimo Reportcalcio di Figc, PwC e Arel, il deficit dei 20 club del massimo campionato era pari a 275 milioni, i bilanci della stagione appena conclusa vedranno aggravarsi questo squilibro a causa dei mancati introiti provocati dall’emergenza sanitaria (almeno 90 milioni per la chiusura degli stadi, oltre alla riduzione delle entrate commerciali e per tacere della controversia giudiziaria in atto sull’ultima rata dei diritti tv non versata da Sky).
Il deficit strutturale della Serie A tra ricavi e costi, dunque, corre verso i 350 milioni e se non è ancora esploso è solo grazie al fatto che le società tricolori hanno operato massicciamente nel calciomercato generando nelle ultime 3 annate plusvalenze per 2,1 miliardi (700 milioni di media).
Le spese per i calciatori
Il solo costo della rosa vale a dire gli ingaggi lordi dei tesserati (1,6 miliardi) più gli ammortamenti dei cartellini (650 milioni) assorbe l’85% dei proventi ordinari dei club (diritti tv, stadi e sponsor) che quindi devono ricorrere alle entrate del calciomercato o indebitarsi per far fronte agli altri costi operativi (1,3 miliardi) e non hanno risorse per gli investimenti. E invece è proprio in questa fase che sarebbe necessario rafforzare questi ultimi. La crisi rende altresì improcrastinabile l’adozione di un piano strategico comune da parte di Figc, Lega e club. Tra il 2014 e il 2019 i ricavi commerciali sono passati da 361 a 636 milioni, segno che soprattutto alcune realtà (come Juve e Inter) hanno lavorato bene su questo fronte.
La chiusura degli stadi
Così non è stato invece per gli stadi che peraltro il Governo ha deciso di tenere chiusi fino a metà ottobre, a differenza di Germania e Francia dove si va verso una progressiva riammissione del pubblico sugli spalti. A prescindere da ciò, la Serie A incassa dal botteghino solo 300 milioni a stagione. Il Real Madrid da solo ne incamera oltre 100. Procedure per ristrutturare o rinnovare gli stadi sono state attivate, in alcuni casi da troppi anni, in tante città. Con il Decreto semplificazioni peraltro è caduto l’alibi delle Soprintendenze: gli impianti sportivi, salvo casi particolari, non sono infatti più soggetti a quei vincoli di natura storica, culturale, architettonica o paesaggistica che si sono spesso trasformati in ostacoli burocratici insormontabili. Servirebbe ora un’intesa tra enti locali e club per accelerare le opere. Basterebbe d’altronde alzare la percentuale di riempimento medio degli impianti dal 60 all’80% per ottenere 80 milioni in più.
Il fronte dei diritti televisivi
Altro tema è quello dei diritti tv. La Lega sta valutando le offerte di 2 cordate (Cvc, Advent e il gruppo italiano Fsi da una parte e Bain Capital e Nb dall’altra) che hanno messo sul piatto circa 1,5 miliardi per il 10% della futura media company (di cui incasserebbero il 15% degli utili annuali, a vita Cvc e per 50 anni Bain). Una rivoluzione (ma la Serie B è già in subbuglio) che avrebbe lo scopo di guadagnare di più rispetto ai circa 1,4 miliardi attuali, recuperando terreno specie all’estero (dove la A incassa 350 milioni, la Premier 1,6 miliardi). Una sfida tutt’altro che semplice. Peraltro andrà sciolto il nodo del canale della Lega, mentre a breve sarà emanato il bando per il triennio 2021/24 destinato a un mercato domestico che appare statico.
Intanto, il presidente della Figc Gabriele Gravina sta lavorando a un nuovo format, con un campionato diviso in 3 fasi e una final eight per assegnare il titolo. Un’innovazione che mira a restituire appeal al torneo ma che rischia di scontrarsi con i pregiudizi di chi interpreta i cambiamenti come un escamotage per far vincere uno o far perdere altri. Ma tra non molto, senza riforme, a vincere in Serie A potrebbe non essere più nessuno.
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