Serve un Cern europeo dove studiare l’intelligenza artificiale per aiutare le aziende
In questi mesi di allarmi sull'impatto dell’Ai sull’umanità non sarebbe sbagliato immaginare un luogo dove sperimentare le potenzialità degli algoritmi in modo trasparente
di Luca Tremolada
2' di lettura
Il 4 luglio del 2012 magneti alti un paio di diecine di metri hanno guidato con precisione assoluta i fasci di particelle, più che microscopici, dentro la bocca dei rivelatori altrettanto grandi e pesanti. Undici anni fa a Ginevra all’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, conosciuta ai più come Cern, è stata scoperta è una particella con una massa di 125.3 gev, un’unità di misura che si usa nel mondo dell’infinitamente piccolo, la più suggestiva delle particelle elementari, il bosone di Higgs. Fu un successo frutto della collaborazione di scienziati provenienti da tutto il mondo. Il Cern è stato fondato meno di 10 anni dopo la costruzione della bomba atomica ed è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle.
In questi mesi di allarmi sull'impatto dell'umanità artificiale non sarebbe sbagliato immaginare un Cern dell'Ai, fondato da Paesi europei e aperto a tutti. Un luogo dove sperimentare le potenzialità degli algoritmi in modo trasparente utilizzando le infrastrutture di dati provenienti da tutto il mondo. Se ne è discusso anche a Trento al Festival dell’Economia. «La capacità dell’Europa di creare una infrastruttura che possa assicurare governance dei dati in termini di qualità ed etica, potrebbe essere un vantaggio anche per le imprese italiane, perché abbatterebbe i costi permettendo alle nostre Pmi di esercitare l'ingegno» ha commentato Andrea Mignanelli, ad di Cerved puntando l'attenzione sull'urgenza di avere più dati pubblici e aperti. Sulla stessa linea Luigi Riva presidente di Assoconsult: «prendiamo come esempio la smart city, in mancanza di regolamentazione e di una standardizzazione, molte città hanno sviluppato piattaforme pubbliche di condivisione dei dati. Tuttavia, rimane critica la reale utilizzabilità di questi dati». Solo le grandi imprese hanno le risorse tecnologiche, umane e finanziarie per essere in grado di utilizzare realmente questa moltitudine di dati grezzi resi pubblici senza nessuna regola definita.
Prima con la Gdpr e poi (speriamo presto) con l’Ai Act si sta andando in questa direzione. La nuova direttiva disciplinerà tutte le forme di Ai sul territorio europeo. Ma prima serve lavorare bene sui dati. Occorre definire a livello europeo delle regole di pubblicazione e condivisione dei dati pubblici che non si limitino ai dataset ma prevedano una prima elaborazione per facilitarne l'utilizzabilità reale per tutti.
«Nel 1903 - ricorda Riva - Giolitti creava le società di pubblica utilità comunali per i servizi riconosciuti fondamentali come il servizio elettrico e la distribuzione dell’acqua. Oggi, dopo 120 anni, bisogna ragionare a livello europeo per creare uno o più soggetti pubblico-privati che governino i servizi base necessari al dialogo tra cittadino e istituzioni locali».
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