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Serve un piano da un miliardo per rinnovare la flotta dei Tir

Il parco circolante ha un'età media di circa 14 anni e per il 96% è alimentato da diesel. Le principali associazioni di categoria chiedono al Governo di sostenere le imprese per gli investimenti per affrontare il ricambio

di Marco Morino

4' di lettura

Sulla carenza di autisti professionisti, circa 20mila nei prossimi due anni, di cui 5.500 nell’immediatio, si è detto e scritto molto. Sul caro carburante anche, con i prezzi alle stelle di gasolio e AdBlue. In questo momento, però, spuntano nuove emergenze per gli autotrasportatori italiani: la transizione ecologica imposta a tappe forzate dall’Unione europea, sulla scia di quanto è stato deciso per le auto con la messa al bando dei motori endotermici a partire dal 2035 (salvo quelli alimentati con gli e-fuel) e la questione dei valichi alpini, con le criticità del Brennero e del Monte Bianco. L’attenzione sul settore è massima perché, sebbene le politiche europee spingano per il trasferimento delle merci dalla strada alla ferrovia, per i prossimi 30-40 anni la gomma resterà la modalità di trasporto prevalente. Oggi il tutto strada assorbe circa l’80% del traffico interno della Ue. Qui parliamo di trasporto pesante (Tir), cioè mezzi oltre le 3,5 tonnellate di peso: quindi autotreni o autoarticolati.

Tir toppo vecchi

L’inadeguatezza dei veicoli dedicati al trasporto pesante nel nostro Paese è lampane: sono in prevalenza mezzi vecchi ad alimentazione quasi esclusivamente diesel (gasolio). Un primo dato: nel settore nazionale dell’autotrasporto sono attive oltre 82mila imprese. Di queste, nonostante la crescita delle società di capitali (circa 25mila), quasi 43mila, ovvero più della metà, sono imprese individuali, in pratica i padroncini, che dispongono in media di uno o due automezzi. In Italia circolano 725.500 Tir, oltre il 50% dei quali ante Euro 4. L’età media dei mezzi in circolazione è di 14,3 anni, tra le più elevate in Europa. Nel 2022 il 96,2% delle immatricolazioni totali di camion (pari a 24.624 mezzi, fonte Unrae) risultano alimentate a gasolio. Le altre quote, irrisorie, sono divise tra mezzi a gas naturale liquefatto (Gnl) e metano. I veicoli a trazione elettrica venduti in Italia nel 2022 sono stati solamente 19. Osserva Thomas Baumgartner, presidente di Anita (l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese dell'autotrasporto merci e della logistica): «Il tasso annuo di rinnovo del parco è oggi del 4% e se dovesse rimanere questo, ci vorrebbero 25 anni per togliere dalla strada i mezzi più inquinanti e meno efficienti. Bisogna intervenire con politiche adeguate affinché il ricambio possa essere più veloce».

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La stretta dell’Europa

In questo scenario è piombata nelle ultime settimane la proposta della Commissione europea di tagliare le emissioni di CO2 anche nel trasporto pesante. Ecco la progressione immaginata dalla Ue: i Tir dovranno ridurre le emissioni inquinanti del 45% a partire dal 2030, del 65% dal 2035 e del 90% dal 2040. Ora, sull’onda del via libera al regolamento che vieta benzina e diesel per le auto, la Commissione potrebbe essere incoraggiata ad anticipare i target di riduzione delle emissioni per i mezzi pesanti, di fatto vietando la vendita di camion con motore a combustione anche prima del 2040. Obiettivi che spaventano l’autotrasporto italiano.

Paolo Uggè, presidente di Conftrasporto-Confcommercio, parla di «autolesionismo» da parte dell’Europa. Le grandi imprese di autotrasporto hanno un sistema amministrativo predisposto per trarre vantaggio fiscalmente dal ricambio dei veicoli ammortizzando la spesa. Ma l’esercito dei padroncini, che rappresentano l’ossatura dell’autotrasportano nazionale, che farà? Un’impresa individuale che possiede un camion per distribuire la propria merce non ha interesse a comprare un mezzo nuovo finché quello che ha riesce a viaggiare. Per Baumgartner, sul rallentamento al ricambio pesa anche l’incertezza sul salto tecnologico. Per i mezzi pesanti destinati alle lunghe percorrenze non è ancora chiaro se sia meglio puntare sull’elettrico o sull’idrogeno. Sul mercato si stanno affacciando le prime soluzioni full electric per la distribuzione in ambito urbano. Ma fuori dai grandi centri metropolitani, questa tecnologia continua a registrare forti limiti sul fronte dell’autonomia e dei tempi di ricarica. Solo in un futuro più lontano l’idrogeno potrà offrire una valida alternativa al trasporto pesante.

Intanto la California, lo Stato più ecologista d’America, ha già deciso: i camion diesel non potranno più essere venduti dal 2036 e si prevede che tutti i veicoli pesanti siano a zero emissioni entro il 2042. Ma non è tutto, perché le aziende con flotte di oltre 50 veicoli, quelle che fanno collegamenti portuali o le flotte pubbliche avranno obiettivi ancora più ravvicinati.

La proposta della filiera

«Siamo convinti – dice Paolo A. Starace, presidente della sezione veicoli industriali dell’Unrae – che l’accelerazione della transizione potrà avvenire sostenendo l’adozione di un mix di tecnologie, tra cui l’utilizzo di biocarburanti compatibili con i motori endotermici attualmente in circolazione (ma prima servirà l’accordo con l’Europa, ndr), l’elettrico e l’idrogeno, per il quale dovremo però attendere ancora qualche anno. È auspicabile - continua Starace - un intervento tanto deciso quanto risolutivo da parte delle istituzioni, senza il quale dovremo rassegnarci all’idea che sulle nostre strade circolino veicoli inquinanti e con bassi standard di sicurezza rispetto agli attuali mezzi in produzione». Al riguardo, le rappresentanze dell’autotrasporto e della filiera industriale e commerciale automotive – Anfia, Anita, Federauto, Unatras e Unrae – ritengono urgente l’adozione, da parte del governo, di un piano strategico per la decarbonizzazione del trasporto merci su gomma. Le associazioni hanno indentificato il fabbisogno relativo agli investimenti per il rinnovo del parco veicolare in ottica sostenibile nella cifra di 250 milioni di euro annui per il periodo 2023-2026, pari a un totale di 1 miliardo di euro. Questo piano pubblico di supporto agli investimenti andrebbe accompagnato, secondo la filiera, da un ripensamento complessivo degli incentivi attualmente in vigore, peraltro erogati con il contagocce.

La questione alpina

A tutto questo si somma l’emergenza valichi alpini, attraverso i quali transita buona parte dell’export italiano diretto in Europa. Ostacolare i valichi significa affossare l’export nazionale. Spiega Uggè: «Dopo il Brennero, con l’Austria che impone unilateralmente i divieti di circolazione ai nostri Tir, ora anche le chiusure programmate del traforo del Monte Bianco, tre mesi all’anno per i prossimi 18 anni per lavori di manutenzione, rischiano di mettere in ginocchio l’economia italiana, che viaggia in gran parte attraverso il trasporto su gomma». Al Bianco si comincia già quest’anno, con la totale chiusura alla circolazione tra il 4 settembre al 18 dicembre 2023. Mentre il Tirolo, da parte sua, non intende fare alcuna concessione sulle limitazioni al transiti dei Tir, a partire dai divieti notturni. «Credo che il governo si debba impegnare a studiare un piano per i valichi alpini che tuteli sia la ferrovia sia l’autotrasporto» afferma il viceministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi.

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