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Servizi professionali più produttivi, ci serve un 14 luglio

di Andrea Goldstein

(© Javier Larrea)

4' di lettura

Tutti pazzi per Emmanuel, vien da dire parafrasando il titolo di un fortunato film di qualche anno fa con Cameron Diaz. E oggi sicuramente il pensiero corre alla prima Bastiglia all’Eliseo di Macron e ai tanti che anche da noi si crogiolano nel sogno di conquistare il potere senza un partito e armati solo di un ideale di centrismo rivoluzionario.

Il giovane neo-presidente si fece politicamente gli artigli nel 2014-15 quando difese in decine di ore di dibattiti parlamentari una grande legge sulla concorrenza. Di cui i francesi conoscono soprattutto le linee di autotrasporto (le cars Macron), tra cui i FlixBus che invece in Italia le lobby fanno a gara nell’ostacolare.

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Meno nota è la riforma delle professioni regolamentate.

Riforma che ha tra l’altro soppresso il numero chiuso per alcune professions réglementées du droit (notai, cassazionisti, ufficiali giudiziari), sancito il principio dell’installazione “controllata” dei notai (sulla base di una cartografia dei bisogni preparata insieme dai ministeri della Giustizia e dell’Economia), modulato le spese notarili al valore della transazione iscritta, favorito l’apertura di capitale degli studi professionali giuridici e introdotto il limite dei 70 anni per l’esercizio della professione notarile (come precedentemente era il caso solo in Alsazia-Mosella). Suscitando una buona dose di fake news tra gli ordini («varie decine di migliaia di posti di lavoro verranno soppressi») e persino tweet minacciosi all’indirizzo del ministro, sospettato di voler emulare Isaac Le Chapelier, il “legislatore del biribisso” che nel 1791 cercò di “annientare” le corporazioni dei mestieri.

Dato il debito che il nostro sistema politico e istituzionale ha tuttora verso la Francia, anche in termini di lacci e lacciuoli alla concorrenza, questa introduzione sembra utile per sintetizzare il dibattito di grande intensità suscitato dal mio intervento sul Sole del 1° giugno. Intervento che, è utile ricordarlo, partiva da un ragionamento tutto sommato banale: in un Paese in cui la produttività è il problema dei problemi, la scarsa e declinante produttività dei servizi professionali dovrebbe suscitare preoccupazione e incitare ad accelerare le riforme strutturali, coscienti che la concorrenza è stimolo alla ricerca di maggiore efficienza. Questo non equivale affatto a seguire una logica rigidamente e ciecamente “mercantile”, a meno che in Italia, e solo in Italia, sia stata trovata la bacchetta magica che può garantire benessere e sviluppo sostenibile altrimenti che con la crescita della produttività.

Di fronte all’apparente erosione dei redditi dei liberi professionisti, gli avvocati in particolare, ci s’interroga poi sull’opportunità di ancora maggiore concorrenza. Il problema è appunto la produttività scarsissima di molti dei troppi avvocati che esercitano la professione in Italia, non del mercato (almeno ovviamente che ci siano abusi di posizione dominante e barriere alla concorrenza). Di fronte a questa fondamentale criticità, che colpisce anche e soprattutto chi fruisce del servizio, la questione dell’equo compenso non può essere analizzata alla luce della garanzia costituzionale riservata al lavoro prestato. Soprattutto perché le mansioni più routinarie del lavoro intellettuale autonomo sono particolarmente vulnerabili alla sfida della data-driven economy – ed è abbastanza improbabile che l’intelligenza artificiale si spaventi di fronte all’articolo 36 della Costituzione e alla fissazione ministeriale dei valori delle prestazioni. In economia, correlare il compenso alla qualità e alla quantità del lavoro si traduce in collegare remunerazione e produttività. Per questo lodevole e condivisibile intento, meglio rendere più selettivi gli esami di Stato (che altrimenti ben difficilmente possono costituire una garanzia fondamentale di competenza) e vigilare sugli eventuali abusi commessi dai grandi clienti, a cominciare dalle pubbliche amministrazioni. E magari riflettere pure sull’opportunità della selezione all’entrata per le facoltà di Giurisprudenza. Senza dimenticare che la produttività dei liberi professionisti dipende anche da quella della giustizia nel suo complesso.

Nella legittima difesa degli ordini, un altro riflesso è quello di agitare lo spettro degli orridi Chicago Boys, di cui peraltro non è che si siano mai viste minacciose legioni tra il Brennero e Lampedusa. Sicuramente la Scuola di Yale, il cui insegnamento di invoca come alternativa, ha proposto una visione diversa rispetto a quella di Ronald Coase e Richard Posner, soprattutto per la sua insistenza sulle considerazioni distributive. Resta che anche Guido Calabresi, che della law and economics di Yale è stato iniziatore, credeva nel valore dell’economia per analizzare il diritto e che è stato nel complesso un convinto sostenitore delle regole del mercato (si vedano gli articoli di Colombatto e altri in Law & Contemporary Problems, 77/2).

Piuttosto che vituperare il mercantilismo, va dimostrato che esista una forma di gestione imprenditoriale, compreso l’esercizio delle professioni, più efficace che la massimizzazione dell’utilità (soprattutto, ma certo non solo, monetaria). Evocare il penchant del legislatore ad affidare ai professionisti compiti funzionali alla tutela dell’interesse pubblico, poi, non prova molto – dato che i ranghi parlamentari sono tanto affollati di iscritti agli ordini.

Tornando all’Eliseo, non che tutto quello che viene da Parigi profumi sempre di modernità, né che ciò che è straniero sia necessariamente migliore. Come dimenticare poi le profonde differenze nell’ordinamento del sistema giudiziario: gli ufficiali giudiziari, per esempio, hanno funzioni ben più sostanziali che in Italia e sono costituiti in forma societaria, giustificando quindi la soppressione del numero chiuso. Resta vero che in Francia il giro d’affari delle attività giuridiche e contabili (non esattamente coincidente con le classificazioni italiane) è cresciuto di un robusto 17,8% nel 2010-15, ma che il governo pensa che molto possa essere fatto per migliorarne la produttività attraverso riforme ancora più incisive. Che sia stato forse un motivo della scelta di Macron di ridurre fortemente (al 12%) la quota di candidati che esercitano una professione liberale nelle liste della République en Marche?

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